        Per quanto diverse rispetto a quelle sull'asciutto, le gare sul bagnato hanno sempre un fascino particolare. In condizioni di pioggia o di scarso grip, infatti, spesso si assiste a corse decisamente movimentate, ricche di colpi di scena e con valori in campo diversi (almeno in parte) rispetto a quelli che si vedono abitualmente. In queste condizioni ci sono piloti che non riescono a trovare il proprio ritmo e ad essere competitivi, ma anche e soprattutto altri in grado di esaltarsi mettendo in mostra qualit&agrave; che faticano a tirar fuori normalmente. Dai big ad alcuni veri e propri outsider, ne abbiamo scelti otto pi&ugrave; un &ldquo;bonus&rdquo;: ecco quali sono alcuni dei grandi specialisti del bagnato per quanto riguarda l'era moderna. Da Rossi a Bayliss: i piloti pi&ugrave; iconici degli anni 2000 1) Marc Marquez   E' difficile dire qualcosa che non si sappia a proposito dell'otto volte campione del mondo, il quale non &egrave; soltanto uno dei piloti pi&ugrave; forti di sempre in generale, ma anche uno specialista delle gare disputate in condizioni critiche. Al di l&agrave; della pioggia, infatti, il vero punto di forza dello spagnolo &egrave; la capacit&agrave; di adattamento quando il meteo &egrave; mutevole, come in quelle gare in cui viene effettuato il flag-to-flag (il cambio moto ai box) o in casi come Brno 2019, dove conquist&ograve; la pole sotto l'acqua con gomme slick. 2) Danilo Petrucci   Il ternano &egrave; uno dei piloti pi&ugrave; versatili in assoluto, come dimostrano anche le sue fantastiche prestazioni in ambienti ben diversi dal mondiale come il MotoAmerica o la Dakar. Nelle serie iridate, per&ograve;, il suo talento in condizioni di bagnato &egrave; innegabile. Non &egrave; un caso che il suo primo podio in carriera in MotoGP sia arrivato proprio sotto la pioggia a Silverstone nel 2015, cos&igrave; come la splendida vittoria (la seconda ed ultima in classe regina) a Le Mans nel 2020 con la Ducati del team Factory. &nbsp; 3) Jonathan Rea   Da buon britannico, il sei volte campione del mondo della Superbike ha dimostrato in svariate occasioni di essere uno dei migliori interpreti delle condizioni estreme, con cui ha ben figurati fin dai tempi della Honda riuscendo a lottare alla pari contro moto ben pi&ugrave; performanti rispetto al CBR. Nell'era Kawasaki il suo amore per le condizioni difficili &egrave; proseguito e, chiss&agrave;, magari continuer&agrave; a vincere sia sull'asciutto che sul bagnato anche con la Yamaha nel 2024. 4) Valentino Rossi   Trattandosi di una vera e propria leggenda vivente del mtoociclismo e dell'intero mondo del motorsport, &egrave; difficile trovare un ambito in cui il nove volte campione del mondo non sia tra le eccellenze. Il bagnato non fa eccezione e ci sono tantissime gare che si potrebbero citare in cui Valentino ha mostrato grande velocit&agrave; sotto la pioggia, come il trionfo di Silverstone nel 2015 e, soprattutto, quello di Donington Park del 2005 con la &ldquo;suonata di violino&rdquo; sotto la bandiera a scacchi. &nbsp; 5) Jack Miller   Per l'australiano si potrebbe fare un discorso simile a quello gi&agrave; fatto per Petrucci, visto che si tratta di un pilota molto veloce, ma le cui doti vengono esaltate in maniera particolare sotto l'acqua. Un esempio lampante del talento di Jack sul bagnato &egrave; quello di Assen 2016, Gran Premio in cui conquist&ograve; la sua prima vittoria in carriera in MotoGP stupendo tutti in sella alla Honda del team MarcVDS, ma anche con Ducati riusc&igrave; ad inserirsi spesso al vertice in condizioni di pioggia o scarso grip. 6) Andrea Dovizioso   Per rendere l'idea di quanto il &ldquo;Dovi&rdquo; sia stato un grande pilota sul bagnato, basta nominare un singolo Gran Premio: Motegi 2017. Con la Ducati Desmosedici, Andrea riusc&igrave; a tenere testa ad un altro specialista assoluto presente in questa lista come Marc Marquez, mettendo in scena un duello gi&agrave; entrato negli annali del motociclismo e vinto proprio dal forlivese. Non sar&agrave; riusito nell'impresa di vincere il mondiale nella classe regina, ma &egrave; stato uno dei pochissimi in grado di dare del filo da torcere allo spagnolo nei suoi anni d'oro. &nbsp; 7) Chris Vermeulen  Se si pensa al pilota di Brisbane, il primo ricordo che viene in mente riguarda pronbabilmente la sua positiva carriera nelle derivate di serie, dove ha conquistato il titolo in Supersport nel 2003 per poi passare in SBK con la Honda diventando anche vice campione nel 2005. L'australiano &egrave; per&ograve; riuscito a ben figurare anche nel Motomondiale, dove proprio sotto la pioggia ha vinto la sua unica gara in carriera in MotoGP nel 2007 in occasione del Gran Premio di Francia a Le Mans con la Suzuki, mettendo in mostra anche davanti al grande pubblico la propria versatilit&agrave; in condizioni di bagnato. 8) Anthony West   A quanto pare, i piloti australiani hanno un rapporto particolare con la pioggia e riescono a trovarsi particolarmente a proprio agio durante le gare bagnate. West non fa eccezione, visto che pur non essendo stato un grande vincente, ha ottenuto tanti ottimi piazzamenti in condizioni difficili, come la vittoria ad Assen in 250 nel 2003 o il podio di Donington nel 2005, fino all'inaspettato trionfo (sempre ad Assen) nel 2014 in Moto2 e le buone prestazioni in MotoGP con una Kawasaki decisamente non competitiva. &nbsp; Bonus: Ryuichi Kiyonari   Con il giapponese non si pu&ograve; parlare di vero e proprio mago della pioggia, ma &egrave; impossibile non inserirlo almeno come &ldquo;bonus&rdquo; in questa lista, visto che ogni appassionato ha ancora ben impressa nella memoria la sua incredibile Superpole sotto l'acqua di Donington Park 2008 in Superbike con la Honda Ten Kate, messa di traverso ad ogni staccata nonostante ill diluvio. &ldquo;Kiyo&rdquo; ha vissuto una splendida carriera nel BSB ed &egrave; tuttora uno dei piloti pi&ugrave; amati in Giappone, ma le sue gesta con la CBR resteranno sempre tra le pi&ugrave; spettacolari in assoluto. I dieci circuiti pi&ugrave; spettacolari per le gare di moto       

Ci sono piloti che, in condizioni di scarso grip, riescono ad esaltarsi e a far valere il proprio talento. Ne abbiamo scelti alcuni dell'era moderna: ecco chi sono, per noi, i &ldquo;maghi&rdquo; della pioggia

Da Marquez a Petrucci: i grandi specialisti delle gare sul bagnato

        Un capitolo della rassegna dei grandi piloti australiani degli anni Cinquanta. Oltrepassando questo limite temporale altri nomi, altrettanto e anche pi&ugrave; grandi non mancherebbero &ndash; in ordine sparso Jack Findlay, John Dodds, Wayne Gardner, Mick Doohan, Casey Stoner, Chris Vermeulen, Troy Bayliss, Kevin Magee, Garry McCoy, Daryl Beattie, Troy Corser &ndash; ma &ldquo;Polvere di Stelle&rdquo; ha il compito inderogabile di occuparsi della storia del motociclismo, quindi non pu&ograve; soffermarsi troppo a lungo su un solo tema. La dinastia Parrilla | Polvere di Stelle Jack Ahearn  Jack Ahearn (in foto di copertina) oggi &egrave; un nome sconosciuto ai pi&ugrave;, eppure &egrave; stato un protagonista, uno dei pi&ugrave; forti e determinati piloti del Continental Circus nel suo periodo d&rsquo;oro. Nato l&rsquo;8 ottobre 1924 a Bondi, cittadina costiera alla periferia est di Sydney, da bambino si spost&ograve; con la famiglia nell&rsquo;entroterra a Lithgow, fin&igrave; presto gli studi e inizi&ograve; a lavorare come apprendista falegname. Sognando per&ograve; di correre in moto. Non impieg&ograve; molto a fare il passo decisivo: acquistata una vecchia Triumph 350, si iscrisse al locale Moto Club e cominci&ograve; a gareggiare nelle manifestazioni su strada e off-road. Mentre studiava se valesse la pena insistere in una carriera difficile e legata alla disponibilit&agrave; di mezzi economici e meccanici, scoppi&ograve; la guerra e Jack si arruol&ograve; in aeronautica. A guerra finita non dovette attendere molto per ritornare in sella e gi&agrave; nel 1947 arrivarono le prime affermazioni. Corse dapprima con la Triumph 350, poi con una Ariel Red Hunter 500 e una Velocette KSS 350. Nel 1951 fu vittima di una caduta che gli cost&ograve; la frattura di entrambi i polsi e lo costrinse a una lunga sosta, che impieg&ograve; per guadagnare la somma necessaria per l&rsquo;acquisto di una Norton Manx. Con questa moto torn&ograve; a correre e a vincere, mettendosi in mostra al punto che la Federazione australiana nel 1954 lo inser&igrave; nella rappresentativa nazionale da inviare al Tourist Trophy. Jack Ahearn fece il suo primo approdo in Europa iniziando dalla corsa pi&ugrave; famosa del Mondo, il leggendario Senior TT, nel quale, piazzandosi nono, ottenne il miglior risultato fra i piloti australiani. La conferma del suo valore arriv&ograve; al GP Ulster, dove si piazz&ograve; sesto. Torn&ograve; nel 1955, anno in cui il suo miglior risultato nel Motomondiale fu il sesto posto nel GP Germania, primo sia tra i privati che tra i piloti in sella a una monocilindrica. Divent&ograve; dunque un pilota professionista, ma pur sempre un privato, che per&ograve; si fece presto conoscere dagli organizzatori di corse non soltanto per la bravura in pista, ma anche per la fermezza con cui contrattava gli ingaggi, riuscendo quasi sempre a spuntare premi soddisfacenti. Fu proprio questa fermezza a costargli la licenza internazionale quando, al GP Olanda del 1955, ader&igrave; alla protesta assieme a molti colleghi, tra cui diversi &ldquo;ufficiali&rdquo;, per ottenere diarie pi&ugrave; alte. Fu squalificato per i primi sei mesi del 1956, ragion per cui se ne torn&ograve; in Australia, dove avvi&ograve; l&rsquo;attivit&agrave; di tassista senza smettere quella di pilota professionista. Con le sue Norton, curate personalmente, vinse un numero impressionante di corse nel suo Paese, ma nel 1958 il fascino irresistibile del Continental Circus lo richiam&ograve; in Europa. Fu una stagione priva di soddisfazioni, pure se il suo valore venne riconosciuto dalla Matchless che al TT gli mise a disposizione la prima versione della G50 monocilindrica ufficiale, ancora purtroppo non competitiva e fragile di meccanica. A questo punto, Jack, che nel frattempo aveva sposato Betty, decise di lasciar perdere. Per tre anni rimase in patria correndo soltanto saltuariamente, ma nel 1962, inserito nuovamente nella rappresentativa australiana al TT, si imbarc&ograve; per il Vecchio Continente. Per due stagioni navig&ograve; con la sua Norton fra i migliori privati, poi, nel 1964, all&rsquo;et&agrave; di quarant&rsquo;anni, port&ograve; a termine il capolavoro della sua carriera piazzandosi secondo nella classifica finale del Mondiale della classe regina, preceduto soltanto da Mike Hailwood su MV quattro cilindri e vincendo il GP Finlandia. Nel corso della stagione ebbe anche la sua seconda occasione da pilota ufficiale quando la Suzuki gli offr&igrave; un contratto e la 250 quattro cilindri in quadrato, potentissima, ma inguidabile e inaffidabile. La prov&ograve; e, rimediata una terribile caduta con ricovero in ospedale, decise di rimanere privato e continu&ograve; nel 1965 e 1966 a ottenere eccellenti piazzamenti nella 500 con la sua ormai decrepita, ma generosa Norton Manx. Nei primi anni Settanta Jack Ahearn, da tempo lontano dal Continental Circus, torn&ograve; in sella gareggiando nelle corse nazionali per le derivate di serie di grossa cilindrata. Nel 1974 appese il casco al chiodo, apr&igrave; una rivendita di moto e si godette la vecchiaia con Betty fino a 92 anni. Si spense a Lismore il 10 aprile 2017. Bob Brown  Bob Brown, nato a Inverell, 400 km a sud di Brisbane, il 9 maggio 1930, dopo le prime esperienze lavorative come meccanico, svolse l&rsquo;attivit&agrave; di tassista e cominci&ograve; a correre in moto. Messosi in luce nel suo Paese, anch&rsquo;egli, come Quincey, Hinton, Kavanagh e Ahearn, venne in Europa a misurarsi nelle corse internazionali e nei GP del Mondiale. Le sue prime affermazioni arrivarono nel 1955, anno in cui il miglior risultato fu il quinto posto nel GP Olanda in sella a una Matchless 500 privatissima, preceduta soltanto da quattro pluricilindriche italiane. L&rsquo;anno dopo concluse una sola corsa iridata, il GP Ulster, ma al secondo posto nella 500 e al sesto nella 350 con una AJS 7R. Nel 1957 un grave incidente a Imola imped&igrave; a Geoffrey Duke di correre al TT e la Gilera affid&ograve; la sua 500 a Bob Brown, il quale all&rsquo;esordio sulla quattro cilindri conquist&ograve; il terzo posto, ripetendosi nella 350. Confermato come ufficiale per il GP Belgio, fu obbligato, al via della corsa, a cedere la sua moto a Libero Liberati, la cui 500 non si era messa in moto sulla linea di partenza. Liberati vinse, ma poi fu squalificato e Brown non corse pi&ugrave; con la Gilera. Nel 1958 lasci&ograve; la Matchless e nella 500 gareggi&ograve; con Norton e BMW; il miglior risultato fu un altro terzo posto al TT, dove ottenne anche il quarto nella 250 guidando una NSU. Il 1959 fu l&rsquo;anno in cui il suo grande talento ebbe finalmente un adeguato riconoscimento: nella 500 si piazz&ograve; terzo assoluto, primo dei privati e primo in sella a una monocilindrica, precedendo nell&rsquo;ordine assi come Duke, Hocking e McIntyre, che dopo l&rsquo;addio alle corse della Gilera erano tornati alle Norton Manx. Chiuse terzo anche la 350, dietro alle MV di Surtees e Hartle, e ancora davanti a Duke e Hocking. Il 1960 cominci&ograve;, per Bob Brown e la sua Norton, con tre podi su quattro GP nella 500, ma nel frattempo si era fatta avanti la Honda, che lo aveva ingaggiato per pilotare la sua 250 quattro cilindri al TT. Bob aveva accettato e su questa nuovissima moto aveva regalato alla Casa giapponese uno storico quarto posto. Confermato pilota ufficiale con Redman e Phillis, Brown fu vittima di un gravissimo incidente nelle prove del GP Germania classe 250 e pochi giorni dopo, il 23 luglio, mor&igrave; all&rsquo;ospedale di Stoccarda.  Passa alla prossima pagina per la storia di Tom Phillis Tom Phillis  La carriera di Tom Phillis, australiano di Sydney (9 aprile 1934) fu molto simile a quella di Bob Brown. Figlio di un portaordini militare motociclista, a 16 anni lasci&ograve; gli studi per diventare apprendista meccanico. Inizi&ograve; a correre in bicicletta, ebbe un grave incidente in gara e nel 1953 pass&ograve; al motociclismo. Fino al 1957 corse con varie moto non competitive finch&eacute; non riusc&igrave; a entrare in possesso di una Norton Manx usata con cui ottenne le prime importanti vittorie nazionali. Sposatosi nel 1954 con Betty, quattro anni dopo la coppia vendette tutto ci&ograve; che aveva in Australia e si imbarc&ograve; per l&rsquo;Europa. Con due nuove Norton 350 e 500, Tom si impose subito come un vincente nelle corse internazionali non titolate, partecip&ograve; anche ad alcune gare del Mondiale piazzandosi in Top 10 nella 500 in Olanda e in Svezia. Nel 1959, il miglior risultato fu il quinto posto con la 350 nel GP Ulster. Nel 1960 fu ingaggiato dalla Honda per correre con le sue 125 e 250: con la ottavo di litro non combin&ograve; nulla per guasti al motore e una brutta caduta, al TT si consol&ograve; con la sua Norton 500 piazzandosi quarto, poi la prima vittoria iridata gli sfugg&igrave; per un soffio all&rsquo;Ulster con la Honda 250, battuto soltanto da Carlo Ubbiali con la MV ufficiale. La Honda lo conferm&ograve; per il 1961 e la scelta fu ripagata da Tom Phillis con una stagione trionfale: campione del Mondo della 125 con quattro vittorie e vice campione della 250 con due vittorie. Nella 500 concluse una sola gara, il Senior TT, ma con il miglior risultato della carriera, terzo. Al culmine del suo percorso, inizi&ograve; il 1962 correndo nella Mototemporada Romagnola, vinse a Imola, fu secondo a Cesenatico e terzo nella 250 nei GP Spagna e Francia, poi si trasfer&igrave; all&rsquo;Isola di Man per il TT. Dopo due terzi posti nelle 125 e 250, scatt&ograve; al via della 350 con una Honda ufficiale maggiorata a 285 cm&sup3;. Al secondo giro cadde rovinosamente vicino al paese di Peel e non si rialz&ograve; pi&ugrave;. Le sue ceneri furono sparse sulla linea di partenza del Mountain Circuit.  La storia di Libanori | Polvere di Stelle       

La puntata della rubrica &egrave; dedicata ad alcuni dei grandi pionieri del motociclismo australiano: vicende cos&igrave; forti da segnare un&rsquo;epoca

Le vicende di Ahearn, Brown e Phillis | Polvere di Stelle

Se c&rsquo;&egrave; una terra, o per meglio dire un tracciato, che trasuda Superbike da tutti i tasselli del suo asfalto, quello probabilmente &egrave; Imola. &Egrave; un qualcosa di mistico, di difficilmente spiegabile, ma &egrave; cos&igrave;: il pubblico, la conformazione del circuito, tutto sembra calzare a pennello allo spirito delle derivate di serie, ed il ritorno del campionato ad Imola in questa stagione &egrave; una sorta di ritorno a casa. Anche per cancellare l&rsquo;ultimo attuale ricordo della Superbike in riva al Santerno, con quella Gara 2 del 2019 cancellata &ndash; tra proteste e meeting infiniti &ndash; a causa della pioggia. La stessa pioggia che ha impedito ad Imola di ospitare in maggio la Formula 1, tanto che l&rsquo;arrivo della Superbike rappresenta per il tracciato anche un piccolo ritorno alla normalit&agrave;.  Lo sguardo volge dunque al futuro, a quello che lo storico tracciato romagnolo sapr&agrave; regalare, ma prima &egrave; giusto quanto interessante ripensare per un attimo a quello che ha gi&agrave; regalato, perch&eacute; di materiale da ricordare non ne manca. Tanto che se chiedessimo ad un amante della Superbike quale sia stata la gara pi&ugrave; emozionante della storia delle derivate, la risposta sarebbe probabilmente &ldquo;Imola 2002&rdquo;: del resto stiamo parlando di un duello carena contro carena per il titolo mondiale, all&rsquo;ultimo round della stagione, tra due piloti che della Superbike hanno fatto la storia.  Ducati vs Honda    Parliamo di Troy Bayliss, campione in carica dopo l&rsquo;alloro conquistato l&rsquo;anno precedente e Colin Edwards, gi&agrave; titolato nel 2000. I due padroni della Superbike dell&rsquo;epoca insomma, arrivati all&rsquo;ultimo appuntamento della stagione 2002 nuovamente in lotta per l&rsquo;iride, con un punto &ndash; a favore dello statunitense &ndash; a separarli in classifica generale.  Il resto &egrave; storia, con una Gara 1 interrotta dalla bandiera rossa e vinta da Edwards e soprattutto una Gara 2 divenuta materiale per cultori: Bayliss ed Edwards infatti diedero vita alla battaglia delle battaglie, con l&rsquo;australiano prima impegnato a favorire il rientro del compagno Ruben Xaus &ndash; in caso di successo Troy avrebbe avuto bisogno di un 3&deg; posto di Colin visti i 6 punti di ritardo &ndash; poi deciso a vincere almeno il duello finale, andato invece ad un altrettanto meraviglioso Texas Tornado.  Magistrale lo scambio di sorpassi tra i due tra la Villeneuve, la Tosa e la Piratella, dove un&rsquo;imbarcata della 998 di Bayliss spian&ograve; la strada di vittoria e titolo al rivale di casa Honda. &ldquo;Sentivo il pubblico &ndash; il commento anni dopo di Troy &ndash; ed anche se persi il titolo fu speciale&rdquo;. Del resto Imola seppe farsi perdonare nei confronti di uno dei piloti pi&ugrave; ducatisti nella storia della casa bolognese, dato che nel 2006 proprio in riva al Santerno Troy pot&eacute; festeggiare il suo secondo titolo in Superbike: dopo una stagione da assoluto dominatore infatti all&rsquo;australiano bast&ograve; un quinto posto in Gara 1 per laurearsi campione, alzando il trofeo nel round pi&ugrave; importante per Ducati.  &nbsp;  Duello in casa: Laconi vs Toseland  Imola ad ogni modo non richiama alla mente solo Bayliss o Edwards, perch&eacute; nel corso degli anni non sono mancati altri duelli mozzafiato. Ad esempio quello tra i due portacolori del team Ducati ufficiale Regis Laconi e James Toseland nel 2004, con Imola penultimo round stagionale. Con 2 soli punti a separare in classifica generale il leader Chris Vermeulen ed i due ducatisti il round romagnolo divenne uno spartiacque di grande importanza in ottica titolo, anche in virt&ugrave; di quanto accaduto in Gara 2, dove il primo colpo di scena arriv&ograve; gi&agrave; durante il giro di ricognizione, con la caduta del pilota Honda ed la conseguente rimonta dal fondo.  Con Vermeulen fuori dai giochi dunque tutta l&rsquo;attenzione si spost&ograve; su Laconi e Toseland, che rimasti soli al comando dopo la caduta di Noriyuki Haga infiammarono il pubblico imolese con una battaglia senza esclusioni di colpi, come testimoniato dalla classifica finale, dove Laconi riusc&igrave; a cogliere la vittoria &ndash; facendo doppietta - per soli 41 millesimi, complice anche una linea molto difensiva alla Variante Bassa che favor&igrave; il rientro in uscita di Toseland, che si riscatter&agrave; poi nell&rsquo;ultimo round di Magny &ndash; Cours vincendo il titolo.  Proseguendo sul viale dei ricordi, Imola ha conquistato un posto speciale nel cuore degli appassionati di Superbike e motociclismo in generale anche grazie a quanto accaduto nel 2009, quando il tracciato intitolato ad Enzo e Dino Ferrari ebbe la fortuna di ospitare la prima ed unica apparizione tra le derivate di Marco Simoncelli...  Per l&#39;articolo intero l&#39;appuntamento &egrave; da oggi in edicola, con il nuovo numero di Motosprint!&nbsp; 

La battaglia del 2002 tra Troy e Colin per il titolo &egrave; storia, come la lotta interna al team Ducati due anni dopo. Viaggio nel viale dei ricordi di una pista mitica&nbsp;

SBK Imola e i suoi duelli: Bayliss vs Edwards, Toseland vs Laconi... e non solo

        This is Bautista&rsquo;s championship to lose. People started to say this last year after Magny-Cours, the Spaniard having left the French track with a 30-point lead before heading into a triple-header of favourable tracks, or rather Barcelona, Portimao and Villicum. And it has now become something of a mantra during this 2023 season. Eighteen races into the season and Alvaro has won sixteen, his remaining results a second place in the Superpole Race at Donington and a crash at Mandalika. The Spaniard leads the way in the standings with a 93-point lead over Toprak Razgatlioglu, an impressive advantage, yes, but not a record in SBK, in fact this kind of deficit has been made up in the past, a fact that might leave his rivals with at least a little hope. Bautista impressive but the record season was 2003 Alvaro Bautista&rsquo;s performance so far might look like the best ever start to a SBK season but this is in fact not the case. If we go back exactly 20 years, to 2003, the fans were still reliving that last lap duel between Colin Edwards and Troy Bayliss at Imola. But both riders switched paddocks come the end of 2002, moving to MotoGP with varying degrees of success. And in SBK Ducati debuted the brand-new 999R F03, very different to the &ldquo;perfect series&rdquo; designed by Sergio Robbiano under the guidance of Massimo Tamburini. The 999 designed by South African Pierre Terblanche never won a place in the heart of the ducatisti but still now, twenty years later and despite new regulations, it continues to hold a record that will be hard to repeat. The Bolognese manufacturer chose Neil Hodgson to ride on the Ducati Fila team alongside Ruben Xaus. The English rider seized the opportunity and after finishing third in the 2002 championship, 226 points behind Colin Edwards, he began a new &lsquo;factory&rsquo; life and began to win big. &nbsp;Aboard the 999R F03, Neil Hodgson appeared unbeatable, the Brit winning eleven of the first twelve races and was only stopped by James Toseland in race 2 at Oschersleben. Neil left Silverstone after the sixth race weekend with 295 points out of a possible 300. He was followed in the standings by &lsquo;the pianist&rsquo;, although he had been less consistent, reaching the podium on just five occasions and slipping back to find himself 130 points behind the frontrunner after just six weekends. 137 points behind Hodgson was his team-mate Ruben Xaus, with six podiums but also two DNFs to his name. Neil would go on to win two more races and score six more second-place finishes, building a 140-point lead after Brands Hatch. The Englishman won the title at Assen thanks to a second place in race 1 behind Toseland, rounding out the season with a 103-point lead over the man who would replace him on the factory Ducati the following year. The American who beat the Japanese Back in that magical 2003 season, Ducati had nine bikes finish inside the top ten, with only Gregorio Lavilla, now the WorldSBK Executive Director, able to break the trend by placing fifth aboard the Suzuki. But there were other seasons in which the championships looked to be decided after just six rounds. In 2005 Troy Corser and Suzuki lay 73 points ahead of Chris Vermeulen, and the following year Troy Bayliss left Misano 94 points in front of Noriyuki Haga. In 2015 Jonathan Rea and Leon Haslam were separated by 101 points in what was the Northern Irishman&rsquo;s first year on the factory Kawasaki. He did it again in 2018, when he built a 64-point lead over Chaz Davies. Going further back in time to 2011, Carlos Checa lay 72 points ahead of Max Biaggi in the year he scored Ducati&rsquo;s last SBK title prior to Bautista&rsquo;s win last year. But in 2009, &ldquo;Nitro Nori&rdquo; Haga, who had moved from Yamaha to the factory Ducati 1098 in place of Troy Bayliss, held an 85 point lead over team-mate Michael Fabrizio although neither of the pair went on to become champion. The 2009 season was memorable for several reasons. The Ducati rider, thanks also to the many mistakes made by rookie Ben Spies in the early rounds, won six of the first twelve races and finished second in another five. The American won the five races in which Haga places second but crashed four times, slipping back to third in the standings after twelve races, 88 points behind Nitro Nori. But then, during the second half of the season, Spies won nine races and the Japanese rider only two. By Portimao the latter was lying just ten points ahead of the American. With a &ldquo;harakiri&rdquo; that was not uncommon throughout his career, Haga crashed in race 1, gifting Ben Spies the win. The American then managed this advantage in race 2 to secure the title, a first for him and Yamaha. Given the shape of Alvaro Bautista and the Panigale V4 R right now, it&rsquo;s hard to imagine Toprak Razgatlioglu making a similar comeback, but if there&rsquo;s one rider who could do it today, it would be the Turk.       

The Spaniard holds a 93-point lead but this is not a record and there are those &lsquo;in red&rsquo; who have been able to make up an 88 point deficit in the past

Does Bautista have the championship in hand? A look at the records and “almost” impossibile comebacks

        Solo Bautista pu&ograve; perdere questo campionato, lo si &egrave; iniziato a dire lo scorso anno dopo Magny-Cours, dove lo spagnolo lasci&ograve; il circuito francese con 30 punti di margine prima di iniziare il trittico di piste favorevoli: Barcellona, Portimao e Villicum. Da allora non si &egrave; pi&ugrave; praticamente smesso di pronunciare quello che &egrave; diventato di fatto il mantra della stagione 2023. Alvaro dopo 18 gare corse ne ha vinte 16 con un secondo posto ed una caduta rispettivamente nelle Superpole Race di Donington e Mandalika. Lo spagnolo comanda la classifica con ben 93 punti di vantaggio su Toprak Razgatlioglu, un vantaggio impressionante che per&ograve; non &egrave; un record in SBK e che soprattutto &egrave; gi&agrave; stato recuperato in passato lasciando agli avversari una flebile speranza. BULEGA NUOVAMENTE IN PISTA CON LA V4R, IN ATTESA DEL SALTO IN SUPERBIKE Bautista impressionante ma la stagione record &egrave; del 2003 La stagione 2023 di Alvaro Bautista potrebbe far gridare al pi&ugrave; grande inizio della storia della SBK, invece non &egrave; cos&igrave;, il vantaggio &ldquo;monstre&rdquo; del ducatista non &egrave; un record. Per trovare un avvio migliore di quello del pilota di Talavera de la Reina bisogna tornare indietro di esattamente vent&rsquo;anni. Anno 2003, tutti gli appassionati avevano ancora negli occhi il duello all&rsquo;ultima curva tra Colin Edwards e Troy Bayliss di Imola. Entrambi i piloti, per&ograve;, a fine anno cambiarono paddock passando, con alterne fortune, dalle derivate di serie alla MotoGP. Ducati port&ograve; in pista la nuovissima 999R F03, molto diversa dalla &ldquo;serie perfetta&rdquo; disegnata da Sergio Robbiano sotto la guida di Massimo Tamburini. La 999 disegnata dal sudafricano Pierre Terblanche, non entr&ograve; mai nel cuore dei Ducatisti ma ancora oggi, 20 anni dopo e con nuovi regolamenti sportivi, detiene un record difficilmente replicabile. A Bologna scelsero Neil Hodgson come pilota del team Ducati Fila affiancandogli Ruben Xaus. Il pilota di Burnley sfrutt&ograve; a pieno l&rsquo;occasione e dopo aver chiuso al terzo posto il campionato 2002 con 226 punti di distacco da Colin Edwards inizi&ograve; la sua nuova vita &ldquo;ufficiale&rdquo; vincendo a ripetizione. La coppia formata da Neil Hodgson e la 999R F03 sembrava imbattibile, l&rsquo;inglese vinse 11 delle prime 12 manche, le prime 9 consecutive e si arrese solo a James Toseland in Gara2 ad Oschersleben. Neil lasci&ograve; Silverstone dopo il sesto weekend di gare con 295 punti sui 300 disponibili, alle sue spalle c&rsquo;era proprio &ldquo;il pianista&rdquo; che per&ograve; non era stato costante chiudendo solo in cinque occasioni sul podio scivolando, dopo soli 6 weekend (12 manche non 18 come ora), a 130 punti dal leader di campionato! A 137 punti da Hodgson c&rsquo;era il suo compagno di squadra Ruben Xaus, salito sul podio 6 volte, che per&ograve; aveva dopo gi&agrave; due &ldquo;zero&rdquo; a referto. Neil terminer&agrave; la stagione con altre 2 vittorie e 6 secondi, arrivando a 140 punti di vantaggio dopo il round di Brands Hatch. L&rsquo;inglese vinse il titolo ad Assen grazie ad un secondo posto in Gara1 alle spalle di Toseland finendo il campionato con 103 punti di margine su colui che lo sostituir&agrave; sulla Ducati ufficiale l&rsquo;anno successivo. RIMANGI AGGIORNATO SULLE DUE RUOTE? ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER  L&rsquo;americano che sconfisse il giapponese Detto di quella magica stagione 2003 in cui Ducati piazz&ograve; 9 moto nella top10 a fine campionato con la sola Suzuki di Gregorio Lavilla, oggi Direttore Esecutivo WorldSBK, in quinta piazza a rompere l&rsquo;egemonia bolognese. Ci sono state altre stagioni in cui dopo soli 6 round il mondiale sembrava gi&agrave; assegnato: nel 2005 Troy Corser su Suzuki comandava la classifica con ben 73 punti su Chris Vermeulen, cos&igrave; come l&rsquo;anno successivo Troy Bayliss lasci&ograve; Misano con 94 punti di vantaggio su Noriyuki Haga. Nel 2015 troviamo i 101 punti di vantaggio di Jonathan Rea su Leon Haslam al suo primo anno da ufficiale Kawasaki, il nordirlandese si ripet&eacute; nel 2018 con un vantaggio di 64 punti su Chaz Davies. Tornando pi&ugrave; indietro nel tempo nel 2011, Carlos Checa si trov&ograve; con 72 punti di vantaggio su Max Biaggi nell&rsquo;anno che port&ograve; all&rsquo;ultimo titolo SBK Ducati prima del successo di Bautista dello scorso anno. Nel 2009 invece il vantaggio di &ldquo;Nitronori&rdquo; Haga, passato da Yamaha alla Ducati 1098 ufficiale al posto di Troy Bayliss, era di 85 punti sul compagno di squadra Michael Fabrizio ma come siccome nessuno dei due piloti &egrave; poi diventato campione del mondo. La stagione 2009 va ricordata per pi&ugrave; di una ragione: il pilota Ducati, anche grazie ai tanti errori di inizio campionato del debuttante Ben Spies, vinse sei delle prime dodici manche affiancandole a cinque secondi posti. L&rsquo;americano vinse le cinque gare in cui Haga chiuse secondo ma cadde ben quattro volte, scivolando dopo 12 manche in terza piazza a -88 punti da Nitronori. Nella seconda met&agrave; di stagione per&ograve; Ben Spies vinse nove manche contro le sole due del giapponese che arriv&ograve; all&rsquo;ultimo e decisivo weekend di Portimao in vantaggio di 10 punti. Con un &ldquo;harakiri&rdquo; purtroppo comune nella carriera del giapponese, Haga cadde in Gara1 lasciando la vittoria a Ben Spies che in Gara2 pot&eacute; gestire il vantaggio in classifica portando a casa il titolo mondiale, il primo per lui e per la casa dei tre diapason. Difficile, visto lo stati di forma di Alvaro Bautista e della Panigale V4 R immaginare che Toprak Razgatlioglu possa riuscire nella rimonta riuscita a Spies ma se c&rsquo;&egrave; un pilota che pu&ograve; riuscirci oggi &egrave; proprio il turco.  SBK, BMW SEMPRE PI&Ugrave; DOTTOR JEKYLL E MISTER HYDE       

Lo spagnolo comanda la classifica con 93 punti di margine ma non &egrave; un record e c&rsquo;&egrave; chi &ldquo;in rosso&rdquo; riusc&igrave; a farsi recuperare un vantaggio di 88 lunghezze

Bautista ha il mondiale in mano? Tra record e rimonte “quasi” impossibili

        Il numero di gara ha sempre identificato un pilota nello specifico, pensiamo al 3 di Biaggi, al 46 di Valentino Rossi, il 27 di Stoner, il 26 di Pedrosa o, tornando indietro nel tempo, il 7 di Barry Sheene con la Suzuki negli anni 70. Capita per&ograve; che in alcuni casi un pilota magari appena approdato in MotoGP &ldquo;prenda&rdquo; il numero, se non &egrave; stato ritirato, del collega.&nbsp; Vediamo quali sono stati i vari casi 155: Yari Montella &ndash; Ben Bostrom  &nbsp; Nel recente weekend del CIV a Misano, il pilota campano del team Barni in Supersport ha disputato le due gare del campionato tricolore nella Supersport indossando il numero 155 invece del suo abituale 55, numero gi&agrave; occupato da un certo Massimo Roccoli. Il team Barni ha colto l&rsquo;occasione per fare un curioso post social nel quale vengono raffigurati Montella ed una leggenda della Superbike come Ben Bostrom accomunati dal numero di gara, il 155. Va per&ograve; detto che BB scelse quel numero come &ldquo;omaggio&rdquo; al numero del servizio clienti di Infostrada, il 155 appunto.             Visualizza questo post su Instagram  Un post condiviso da Barni Racing Team - Ducati (@barniracingteam)      &nbsp; 21: Rinaldi &ndash; Bayliss  &nbsp; Questo &egrave; uno di quei numeri che &ldquo;scottano&rdquo; perch&eacute; appartenuti ad una vera e propria Leggenda del Mondiale Superbike, ovvero Troy Bayliss. Il buon Michael Rinaldi negli anni in Stock utilizzava il numero 12 (altro numero della carriera di Bayliss, ma in MotoGP) mentre in Superbike ha dovuto prendere il 21, chiedendo a Troy il permesso di usarlo, perch&eacute; il 12 era occupato da Xavi Fores. 11: Xaus &ndash; Corser  &nbsp; Restiamo in Superbike e parliamo di Ruben Xaus. Lo spagnolo, dopo una wild card nel 1998 con la Suzuki e le tre stagioni successive in Supersport, nel 2001 balza in Superbike nel team ufficiale Ducati accanto a Troy Bayliss prendendo il numero 11, numero appartenuto in passato a Troy Corser (che poi si &egrave; ripreso nel 2005 per tenerselo fino al 2007) 111: Xaus &ndash; Slight  &nbsp; Dopo l&rsquo;esperienza in MotoGP del biennio 2004-2005, lo spagnolo nel 2006 torna in SBK sempre con il suo caro 11 per poi abbandonarlo nel 2007 a favore del 111, numero appartenuto ad un altro grande del Mondiale Superbike, ovvero il neozelandese Aaron Slight. &nbsp; 27: Lecuona &ndash; Stoner   Un 27 su una Honda ufficiale fa sempre il suo effetto. Un po&rsquo; meno se a riportarlo su quel cupolino &egrave; lo spagnolo di Honda HRC in Superbike Iker Lecuona, che peraltro correva con quel numero gi&agrave; nel suo anno in Tech3 KTM prima di approdare proprio in HRC. L&rsquo;ultima volta che si &egrave; visto un &ldquo;27&rdquo; sul cupolino di Honda ufficiale &egrave; stato il 2011 con Casey Stoner. 58: Capirossi &ndash; Simoncelli  &nbsp; Questo cambio di numero &egrave; successo solo per la gara finale di Valencia del 2011, la gara dell&rsquo;omaggio a Simoncelli scomparso la settimana prima nell&rsquo;incidente al secondo giro a Sepang. Loris Capirossi ha voluto rendere omaggio al Sic indossando per quell&rsquo;unica volta (l'ultima della carriera di Capirex) il numero 58 tanto caro a Marco. 7: Checa &ndash; Sheene, Vermeulen-Sheene, Lecuona-Checa  &nbsp; L&rsquo;iconico numero 7 nella storia ha subito un po&rsquo; di cambi di mano, pensando sempre al grande Barry Sheene che ha portato quel numero sulla Suzuki 500 negli anni 70. Il primo pilota ad indossarlo &egrave; stato Carlos Checa nella sua lunga carriera tra MotoGP e Mondiale Superbike, poi &egrave; toccato all&rsquo;australiano Chris Vermeulen &ldquo;ereditarlo&rdquo; da Checa nel 2008 dopo il passaggio di quest&rsquo;ultimo in Superbike e oggi il 7 &egrave; sul cupolino della Honda CBR1000RR-R di Iker Lecuona. &nbsp; 20: Borciani &ndash; Romboni  &nbsp; Nel 1999 il grande &ldquo;Rombo&rdquo; Doriano Romboni disputa mezza stagione in Superbike in sella alla Ducati con il numero 20 sul cupolino prima di infortunarsi di nuovo alla gamba destra gi&agrave; infortunata nel 1993. L&rsquo;anno successivo, Borciani debutta in Superbike anche lui con Ducati &ldquo;ereditando&rdquo; da Doriano proprio il 20, numero che lo ha accompagnato fino alla chiusura della carriera.&nbsp; 4: Dovizioso &ndash; Barros  &nbsp; Questo numero c&rsquo;era in MotoGP fino a Misano dello scorso anno, prima che Dovizioso decidesse di ritirarsi definitivamente dalla MotoGP. Prima che il numero 4 (o 04) lo prendesse Andrea, in passato era il segno di riconoscimento del grande brasiliano Alex Barros che lo ha indossato dal 2001 al 2007, ultimo anno di carriera nel Motomondiale. 34: Dovizioso &ndash; Schwantz  &nbsp; Legato a Dovizioso per&ograve; &egrave; anche il suo primo numero di gara nelle classi minori, il 34, che apparteneva al grande Kevin Schwantz. Con il ritiro di Kevin nel 1995, il suo iconico numero non era pi&ugrave; indossabile, almeno in Top Class, mentre nelle classi minori c&rsquo;era libert&agrave; di utilizzo.       

I casi, tra CIV, Motomondiale e Superbike nei quali i numeri di gara sono appartenuti ad altri piloti pi&ugrave; famosi

Da Montella a Dovizioso: quando il numero scelto appartiene ad una leggenda

        Ci sono poche accoppiate che vengono subito in mente quando si pensa ad un determinato posto nel mondo. Phillip Island e Casey Stoner sono certamente una di queste. Non si pu&ograve; pensare al circuito australiano senza che non vengano in mente tutti i momenti in cui li numero 27 &egrave; stato protagonista. Dopo dieci anni di assenza dall&rsquo;ultima volta in cui &egrave; sceso in pista sull'Isola, Casey ripercorre il circuito insieme all&rsquo;amico Chris Vermeulen, anche lui ex pilota di MotoGP per la Suzuki, e ripensa a tutti i momenti passati l&igrave;.  Casey: &ldquo;Vincere qui nel 2011 &egrave; stato bellissimo&rdquo; Il viaggio inizia da Melbourne dove i due salgono in sella a delle Triumph Tiger 1200 per percorrere la strada verso il tracciato. &ldquo;L&rsquo;ultimo gran premio l&igrave; &egrave; stato nel 2012, ma non vado a Philip Island da quando nel 2013 ho fatto qualche giro insieme a Mick (Doohann) e Wayne (Rainey).&rdquo; Cos&igrave; racconta prima di salire in sella Casey. Il pilota che si coron&ograve; campione nel 2007 con la Ducati e nel 2011, proprio in casa, con la Honda &egrave; visibilmente emozionato: &ldquo;Mi ritornano in mente tutti i bei momenti. Ma soprattutto ho quella stessa sensazione di quando ci venivo in passato. Aver vinto il mio secondo mondiale qui &egrave; stato bellissimo perch&eacute; in quell&rsquo;occasione si sono allineati vari eventi. Era il mio compleanno. Mi sono coronato campione vincendo il titolo di MotoGP, e soprattutto nella mia terra.&rdquo;  La curva Stoner Nello speciale &ldquo;The Island&rdquo; l&rsquo;australiano racconta in prima persona la sua curva, quella che gli &egrave; stata intitolata, la numero 3 del circuito. Casey la faceva in un modo totalmente diverso e unico rispetto a tutti gli altri piloti in griglia. &ldquo;Io provengo da un passato sui dirt track &ndash; continua Casey - e quindi ho molta sensibilit&agrave; nel posteriore, mi piace far &ldquo;partire&rdquo; leggermente la ruota dietro. Puntavo il &ldquo;davanti&rdquo; e cercavo di percorrere la curva nel modo pi&ugrave; veloce&rdquo;. &nbsp;       

Il campione australiano parla del tracciato casalingo in un video inedito insieme a Chris Vermeulen

MotoGP, Casey Stoner e il ritorno a Phillip Island dopo dieci anni

        Suzuki Motor Corporation ha deciso di sospendere temporaneamente la partecipazione al FIM Road Racing Grand Prix MotoGP dal 2012. No, nessun errore di data. Quella (S)volta che: DAZN, il gioco non vale la candela L'annuncio del 2011  La notizia che lo scorso 2 maggio ha sconvolto il paddock rappresenta un d&eacute;j&agrave;-vu di quanto vissuto il 18 novembre 2011. In quell&rsquo;occasione, lo stringato comunicato spiegava che &ldquo;Questa sospensione &egrave; destinata a far fronte a circostanze difficili causate principalmente dalla prolungata recessione nei Paesi sviluppati, dall&rsquo;apprezzamento storico dello yen giapponese e dai ripetuti disastri natural&rdquo;. Quello fu infatti un anno record con 380 miliardi di dollari di perdite a livello mondiale causate da terremoti, tornado e inondazioni, met&agrave; dovute al terremoto (magnitudo 9.0 della scala Richter) che l&rsquo;11 marzo devast&ograve; il Giappone. A differenza di oggi, per&ograve;, veniva gi&agrave; annunciato il rientro: &ldquo;Con l&rsquo;obiettivo di tornare in MotoGP nel 2014, Suzuki si concentrer&agrave; ora sullo sviluppo di una nuova moto da corsa competitiva per questa classe. Suzuki continuer&agrave; l&rsquo;attivit&agrave; di gare nel Motocross e il supporto alle competizioni utilizzando moto di serie, ottenendo l&rsquo;omologazione FIM e la cooperazione con il fornitore dei suoi racing kit&rdquo;. Dal report relativo al 2011, che da tradizione nipponica considera tutte le operazioni fino al 31 marzo dell&rsquo;anno seguente, risult&ograve; un calo della produzione rispetto all&rsquo;anno prima: le auto scesero da 2.878.000 a 2.802.000 e le moto da 2.735.000 a 2.574.000. Per le due ruote era il quarto calo consecutivo, partendo dalle 3.391.000 unit&agrave; del 2007: in un quadriennio la produzione di motocicli era calata di oltre 800mila pezzi. Inoltre lo yen forte aveva contribuito a ridurre nel 2011 le vendite in Europa del 21%. Nelle 68 pagine del documento relativo al 2011 l&rsquo;unico riferimento alle competizioni era il seguente: &ldquo;Una GSX-R ha vinto il campionato del mondo Endurance per il secondo anno di fila. Suzuki ha anche fatto registrare una buona prestazione in MotoGP e nel Mondiale di Motocross FIM&rdquo;. Se queste affermazioni sono valide per il Cross, con Clement Desalle vincitore di quattro GP e terzo nella classifica della MX1, per la pista il giudizio pare eccessivamente adulatorio: in MotoGP la Suzuki chiuse il Mondiale costruttori all&rsquo;ultimo posto, con una quinta posizione in Inghilterra come miglior risultato. Quell&rsquo;anno, peraltro, la Casa di Hamamatsu schier&ograve; il solo Alvaro Bautista, quindi giravano gi&agrave; voci su un suo possibile ritiro. I membri del team furono informati via mail della chiusura della squadra che faceva base nel Regno Unito. Il ritorno  Inutili i tentativi di convincimento del responsabile del progetto (che allora come oggi era Shinichi Sahara) e del team manager Paul Denning, complice l&rsquo;assenza di risultati: l&rsquo;ultima vittoria l&rsquo;aveva firmata Chris Vermeulen a Le Mans nel 2007 e l&rsquo;ultimo podio Loris Capirossi l&rsquo;anno successivo a Brno. Denning prese male l&rsquo;addio, tanto che a MCN dichiar&ograve;: &ldquo;Il tempismo molto tardivo della decisione ha lasciato un gran numero di ragazzi in una posizione difficile per il futuro. Sto facendo del mio meglio per aiutarli dove possibile in termini di ricerca di nuove opportunit&agrave; e per portarne alcuni in Crescent Suzuki. Non credo (il ritiro) sia la strategia giusta pensando al livello di competitivit&agrave; che stavamo raggiungendo, e il gran lavoro del reparto corse per migliorare la moto &egrave; stato molto positivo. E senza mancare di rispetto alle capacit&agrave; e agli sforzi di Alvaro, alla sua seconda stagione in MotoGP, non avevamo Casey Stoner o Jorge Lorenzo&rdquo;. La Suzuki &egrave; tornata nella classe regina per disputare l&rsquo;ultima gara del 2014, a Valencia con Randy De Puniet, guidato dai box da Davide Brivio. Nelle prime libere il francese si mise dietro nove colleghi e nelle seconde ridusse a 1&rdquo;345 il ritardo dal miglior tempo di Marc Marquez. Decimo in Q1, si ritir&ograve; dopo 12 giri per noie al cambio. La Suzuki &egrave; tornata protagonista nel 2016, con Maverick Vi&ntilde;ales quattro volte sul podio e vincitore a Silverstone. Nel report di quell&rsquo;anno il termine MotoGP &egrave; comparso otto volte, a dimostrazione dell&rsquo;orgoglio ritrovato per le corse. Quella (S)volta che: l'invasione tricolore nella SSP600       

L&rsquo;uscita della Casa giapponese ha un precedente vecchio di undici anni

Quella (S)volta che: l'addio Suzuki alla MotoGP, un triste deja-vu

Anche nello sport, come in altri contesti, quando si manifesta un risultato sorprendente si fanno largo le teorie pi&ugrave; misteriose e, in alcuni casi, assurde: dalle varie sfumature sul malore di Ronaldo, il Fenomeno, prima della finale calcistica di Francia &rsquo;98 passando per il sorpasso di Lewis Hamilton su Timo Glock all&rsquo;ultima curva del Mondiale di Formula 1 del 2008 fino alla rimonta da 0-8 a 9-8 per Oracle nella America&rsquo;s Cup 2013. A tale schema non sfugge il GP Valencia 2006 della MotoGP, che secondo la quasi totalit&agrave; degli esperti avrebbe dovuto regalare a Valentino Rossi il sesto titolo iridato consecutivo nella classe regina.  Duelli da leggenda: Harada e Capirossi, senza esclusione di colpi  Un trionfo scritto, ma...     Anche il 77,3% degli appassionati, 49.004 internauti interpellati dal sito della MotoGP pochi giorni prima della gara, espressero analogo pensiero: dall&rsquo;alto degli otto punti di vantaggio su Nicky Hayden, il Dottore si sarebbe riconfermato campione del Mondo. Eppure quella era stata una stagione differente dalle precedenti, annate nelle quali Rossi aveva silenziato le aspirazioni dei rivali fin dai primi vagiti: all&rsquo;esordio del 2006, a Jerez, fu tamponato da Toni Elias alla prima curva e rimedi&ograve; due soli punti. Poi, dopo il trionfo in Qatar, manc&ograve; nuovamente il podio in Turchia (4&deg;) e incapp&ograve; in un duplice zero in Cina (problema di gomme) e Francia (la sua Yamaha si ammutol&igrave; a otto giri dalla fine quand&rsquo;era al comando). Dopo soltanto cinque GP il campionato sembrava compromesso perch&eacute; Rossi aveva 43 punti di ritardo dallo statunitense (quattro volte sul podio ma mai vincitore), 39 sia da Marco Melandri che da Loris Capirossi e 33 dal rookie Dani Pedrosa. Come se non bastasse, davanti alla Yamaha numero 46 c&rsquo;erano pure quella del compagno di team Colin Edwards e le altre Honda di Casey Stoner ed Elias.  Con il duplice trionfo al Mugello e a Barcellona (teatro della drammatica carambola al via con cui Sete Gibernau atterr&ograve; il compagno Capirossi, Melandri e Pedrosa, uno &ldquo;zero&rdquo; ferale per le loro chance di titolo) il pesarese si rilanci&ograve; ma con altri due podi Nicky continuava ad avere 29 punti di margine. E quando vinse ad Assen approfittando della caduta di Edwards a pochi metri dal traguardo, con Vale 8&deg; il giorno dopo essersi fratturato una mano, Hayden salut&ograve; la compagnia: 42 lunghezze su Pedrosa, 44 su Capirex e 46 su Rossi e Melandri.&nbsp;  Tre GP pi&ugrave; tardi, l&rsquo;americano concesse il bis in casa, a Laguna Seca, e con il concomitante ko del motore della sua M1, Valentino scivol&ograve; a 51 punti da Kentucky Kid con soltanto sei round (150 punti) restanti. Nelle successive cinque gare, per&ograve;, Rossi conquist&ograve; altrettanti podi e Hayden nessuno, con l&rsquo;aggravante del ritiro all&rsquo;Estoril, abbattuto in staccata dall&rsquo;altra RCV211V di Pedrosa, in un improvvido tentativo di sorpasso. E cos&igrave; Hayden si ritrov&ograve; alla vigilia di Valencia con 236 punti contro i 244 di Rossi che avrebbero potuto essere 249, se Valentino non fosse stato beffato sul traguardo portoghese per due (!) millesimi dall&rsquo;immancabile Elias con la Honda di Fausto Gresini.  Tra le due gare iberiche c&rsquo;erano due settimane e oltre ad allenarsi, Valentino ne approfitt&ograve; per andare al CONI a ritirare il Diploma d&rsquo;Onore e per incontrare Romano Prodi assieme ad Andrea Dovizioso. L&rsquo;allora premier gli disse: &ldquo;Quando mia moglie la vede in TV sfrecciare in pista si mette le mani sugli occhi&rdquo;. Nicky invece ricevette una e-mail dal presidente HRC Suguru Kanazawa, dispiaciuto per l&rsquo;autoscontro dell&rsquo;Estoril che aveva lasciato segni evidenti sul morale, sulla spalla e sul bicipite destro dell&rsquo;ex capoclassifica: &ldquo;Come volete che mi senta?&rdquo; raccont&ograve; alla stampa Hayden il gioved&igrave;: &ldquo;Ho passato quasi tutta la stagione al centro della conferenza stampa e ora al mio posto c&rsquo;&egrave; Valentino. Spero di riprendermi quel posto, ma devo vincere&rdquo;.  Il weekend di Valencia     Nicky aveva bisogno di almeno un alleato che nell&rsquo;ultimo GP si frapponesse tra s&eacute; e il rivale, ma lo stesso Vale cercava il sostegno di Edwards che, come detto, ad Assen aveva praticamente battuto Hayden in volata, ma la successiva caduta di Texas Tornado fu un altro colpo per le chance di titolo di Rossi: &ldquo;Dopo l&rsquo;Estoril ho parlato con Colin: le Honda sono tante, troppe, ma lui qui pu&ograve; essere molto utile. La pista gli piace e ci ha corso anche in Superbike&rdquo;. Al suo fianco, Rossi aveva al suo fianco la milanese Arianna Matteuzzi (la loro storia &egrave; finita l&rsquo;anno dopo), mentre Nicky era single. Al box a Valencia poteva confidare su pap&agrave; Earl, mamma Rose, tre dei quattro fratelli e aveva accettato di buon grado le telecamere di MTV che non lo mollavano un istante per la realizzazione di una serie TV in quattro puntate intitolata &ldquo;The Kentucky Kid&rdquo;.  Nelle prime libere Rossi fu il pi&ugrave; veloce ma Stoner era a soli sei millesimi e Hayden a sette. Nelle FP2 con l&rsquo;abbassamento dei tempi sul giro di un secondo si misero in luce le moto gommate Bridgestone: la Ducati fu in testa con Capirossi, seguita dalla Kawasaki di Randy De Puniet e dalla Suzuki di Chris Vermeulen. Il primo con le Michelin era Hayden che al posto della tradizionale scritta Kentucky Kid aveva fatto cucire sulla tuta &ldquo;All in 69&rdquo; accompagnato da montagne di fiches e cinque carte da gioco (quattro di quadri, in scala, con l&rsquo;ultima coperta), quarto a otto decimi: &ldquo;Sono soddisfatto, la moto mi &egrave; piaciuta fin dal mattino&rdquo;. Per nulla preoccupato Rossi settimo, autore di 16 giri di fila con un passo di 1&rsquo;33&rdquo;5: &ldquo;So che di Loris mi posso fidare, se vince lui i 25 punti non li prende Hayden&rdquo;. Il giorno dopo per&ograve; il presunto aiuto non sembrava pi&ugrave; necessario: Valentino fu primo in FP3 con 37 millesimi sul rivale e 316 su Capirossi e concesse il bis in qualifica, con Hayden relegato in seconda fila con il 5&deg; tempo, a 376 millesimi. La giornata perfetta si concluse con il trionfo della sua Inter per 4-3 nel derby.  La gara decisiva   Il mattino dopo, in circuito erano presenti 125mila spettatori, buona parte dei quali tifosi di Rossi, come testimoniato dalla miriade di t-shirt e cappellini gialli. Il crescendo di emozioni inizi&ograve; con la vittoria di Hector Faubel in 125 (Alvaro Bautista era gi&agrave; campione) e il titolo conquistato da Jorge Lorenzo in 250. Un degno antipasto alla classe regina ma quando alle ore 14, un minuto e 18 secondi si spensero i semafori la Yamaha in pole non riusc&igrave; a scaricare a terra tutta la potenza, a causa di uno stacco di frizione sbagliato. E cos&igrave; alla prima curva entrarono per prime le Ducati di Troy Bayliss (sostituto dell&rsquo;infortunato Gibernau, un premio dopo il secondo titolo Superbike) e Capirossi, seguite da Pedrosa, Stoner e Rossi. Alla curva seguente quest&rsquo;ultimo fu infilato da Hayden che a met&agrave; giro pass&ograve; pure l&rsquo;australiano. Dopo il primo giro Nicky era quarto con Vale settimo ma nei due giri seguenti lo statunitense pass&ograve; Loris e Dani, guadagnando la seconda piazza dietro lo scatenato Bayliss. Inchiodato in settima posizione dietro alle due Rosse e a quattro Honda, Valentino era virtualmente scavalcato di tre punti.    Restavano 27 giri da completare, ma alla seconda curva del 5&deg; passaggio Rossi fin&igrave; gambe all&rsquo;aria, in una curva da 80 km/h. Ripartito ultimo, a 25 secondi dai primi, rimont&ograve; fino al tredicesimo posto mentre Hayden, informato dell&rsquo;accaduto, diede strada a Capirossi per la doppietta Ducati. Con i 16 punti del 3&deg; posto Hayden si laure&ograve; campione del Mondo: &ldquo;Mio Dio, questo &egrave; un gran giorno, ho dedicato tutta la mia vita per vivere questo momento!&rdquo; disse. Rossi ammise l&rsquo;errore, ma fece capire che si era giocato il titolo prima di scivolare: &ldquo;Il rosso si &egrave; spento con un attimo di ritardo e mi sono impappinato al via. Il Mondiale l&rsquo;ho perso l&igrave;. Ma le condizioni della pista non erano le stesse di ieri&rdquo;.    Un paio di giorni dopo per&ograve; il suo capotecnico Jeremy Burgess si lasci&ograve; sfuggire: &ldquo;Sembra che al 5&deg; giro Valentino abbia accelerato troppo, ma non &egrave; chiaro. Abbiamo visto foto frontali, c&rsquo;&egrave; la sensazione di qualcosa di strano nel comportamento della gomma anteriore&rdquo;. Una teoria sostenuta anche dal connazionale Stoner, non certo l&rsquo;amico del cuore di Rossi, nella sua autobiografia: &ldquo;Non appena le luci si spensero, Rossi si trov&ograve; nei guai. Fui uno dei sei che lo superarono al primo giro. La gomma anteriore e la posteriore non volevano saperne di collaborare tra loro. Credo che gli avessero dato una gomma difettosa. Non so perch&eacute; qualcuno avrebbe dovuto farlo&rdquo;. Fu l&rsquo;epilogo di una stagione stregata per Rossi, alla prima vera sconfitta della sua carriera.  Duelli da leggenda: Ekerold contro Mang al N&uuml;rburgring 

Il sorpasso in classifica, l&rsquo;incontro con il premier Prodi, la pole position e persino il derby vinto dall&rsquo;Inter: alla vigilia di Valencia, tutto giocava a favore di Rossi, ma il fluido magico si interruppe (colpa di una gomma?). E a trionfare fu l&rsquo;indimenticato Hayden, ultimo yankee iridato

Duelli da leggenda, Valencia 2006: Hayden campione, Rossi per terra

        Ducati started the trend last autumn, when it made a double rider change &ndash; Jack Miller and Pecco Bagnaia in, Andrea Dovizioso and Danilo Petrucci out. A move that appears to be paying off, with both former Pramac riders in the top five in the general standings, while Petrucci finished twelfth last year. Since debuting in MotoGP in 2003, the Borgo Panigale factory team had never taken such a revolutionary decision. In fact, they&rsquo;d never swapped both riders in a 12-month period, something that Yamaha is now about to do. With Rossi having left the factory team last year, it will soon be the turn of Maverick Vi&ntilde;ales, frustrated with the varying performance of a bike with which he has experienced both joy (eight wins and thirteen poles) and pain: sixth overall in 2020 with just three podiums in fourteen races, fourth in 2018 and third in both 2017 and 2019, without ever exceeding 230 points, too few for a rider wanting to fight for the title. Not a change that the Japanese manufacturer makes lightly, having long preferred continuity, perhaps fearful of a return to the disappointing results of the 1994-2003 period. In those years, Yamaha won just 21 races compared to 115 for Honda, the latter scoring nine constructor&rsquo;s and rider&rsquo;s titles. 2000 was the exception, a season in which Kenny Roberts Jr won with the Suzuki. Rossi and Lorenzo, "loyal&rdquo; to Yamaha  But when it came across two riders who were able to win race after race and world titles too, Yamaha did all it could to keep them. Valentino Rossi remained faithful to the factory team for 15 years, despite a Ducati interlude, while Jorge Lorenzo stayed for nine consecutive seasons. And it&rsquo;s no coincidence that they are the manufacturer&rsquo;s two most successful riders of all time: 56 wins for the Doctor, 44 for the Majorcan, and all in MotoGP. And many of their team-mates were also able to demonstrate their worth over more than one season &ndash; three for Carlos Checa (2002-2004), following a further three with the Marlboro Yamaha 500, three for Colin Edwards (2005-2007 before moving to Yamaha-Tech 3) and two for Ben Spies (2011-2012). Honda has also favoured continuity in MotoGP, having never changed both its riders in the space of two years. Nicky Hayden stayed for six and scored the title in 2006, beating the very man who had been his team-mate in 2003, before Rossi moved to Yamaha together with Jeremy Burgess. In the season in which the American beat Valentino, he was paired with Dani Pedrosa (who beat Nicky at the penultimate Estoril round), who was then reconfirmed until 2018, despite the Spaniard having never achieved the title. This was considered something of a sin, but then those who came after him, first Lorenzo, then Alex Marquez, Stefan Bradl and Pol Espargar&oacute;, have only scored two podiums combined. Small change compared to the 31 wins and 112 podiums Pedrosa clocked up, the rider only failing to win a race in the last of his thirteen years with Honda. Suzuki  Suzuki has been less conservative, partly due to the fact it has less financial resources with which to attract and retain the best riders, and also because it has scored fewer results. When it started out in MotoGP, it retained the Kenny Roberts Jr - John Hopkins pairing for three years. The latter remained for two more years, alongside Chris Vermeulen, who was reconfirmed in 2008 and joined by Loris Capirossi. When Suzuki returned to the track in 2015 following a three-year sabbatical, it hired Aleix Espargar&oacute; and Vi&ntilde;ales but the latter chose to move to Yamaha in 2017, while the other Spaniard was let go in favour of Andrea Iannone and Alex Rins. This pairing also changed two years later, when Joan Mir was brought in to replace the Italian. And consider how, just as it reached the top of the world, the Hamamatsu manufacturer confirmed both riders, affirming the old adage: never change a winning team. Translated by Heather Watson MotoGP Austria, a bitter Sunday for Bastianini: &ldquo;I'm speechless&rdquo;       

With Vi&ntilde;ales leaving at the end of the season, Yamaha will change its factory line-up for the second consecutive year for the first time since the arrival of Rossi. A Suzuki-style move

MotoGP: Yamaha, goodbye continuity

Ha iniziato la Ducati l&rsquo;autunno scorso, con il duplice cambio di pilota: dentro Jack Miller e Pecco Bagnaia, fuori Andrea Dovizioso e Danilo Petrucci. Un avvicendamento che sembra dare frutti perch&eacute; entrambi gli ex Pramac sono nella Top 5 della classifica iridata mentre l&rsquo;anno scorso il ternano chiuse al 12&deg; posto. Da quando, nel 2003, ha esordito in MotoGP, mai il team ufficiale della Casa di Borgo Panigale si era avvalso di una mossa cos&igrave; rivoluzionaria. Addirittura non le era mai nemmeno accaduto di sostituire entrambi i piloti nell&rsquo;arco di 12 mesi, come invece sta per fare la Yamaha. Dopo l&rsquo;addio a Valentino Rossi dal team ufficiale, a fine anno far&agrave; le valigie Maverick Vi&ntilde;ales, stufo del rendimento altalenante con la moto dei tre diapason con cui ha condiviso un lustro di gioie (otto vittorie e tredici pole) e dolori: il 6&deg; posto finale del 2020 con appena tre podi in 14 corse, il 4&deg; del 2018 e i terzi del 2017 e 2019, sempre senza mai superare quota 230 punti, troppo pochi per competere per la corona iridata.  Un ricambio non comune per il costruttore giapponese che a lungo ha privilegiato la continuit&agrave;, forse temendo di tornare ai deludenti risultati della decade 1994-2003: in quei campionati della classe regina a cavallo del nuovo millennio la Yamaha vinse appena 21 GP a fronte dei 115 successi della Honda che se ne serv&igrave; per conquistare nove titoli costruttori e altrettanti piloti. Fece eccezione il 2000 con l&rsquo;exploit di Kenny Roberts Jr con la Suzuki e della Yamaha nel Mondiale marche.  MotoGP Austria, Rossi fissa l&#39;asticella: &ldquo;Vorrei lottare per la Top 10&rdquo;  Rossi e Lorenzo, &quot;fedeli&quot; alla Yamaha   Quando invece si sono trovati con due piloti capaci di vincere gare su gare e titoli mondiali, in Yamaha hanno fatto di tutto per non lasciarseli sfuggire: Valentino Rossi &egrave; rimasto fedele per 15 annate da ufficiale, con l&rsquo;interludio in Ducati, mentre Jorge Lorenzo &egrave; restato con Iwata per nove stagioni di fila. Non a caso si tratta dei due pi&ugrave; vincenti di ogni tempo con la Casa: 56 successi per il Dottore, 44 per il maiorchino, tutti in MotoGP. E anche a molti dei loro compagni ai box &egrave; stata concessa pi&ugrave; di una prova d&rsquo;appello per mostrare il loro valore: tre stagioni a Carlos Checa (2002-2004), che peraltro era reduce da altre tre annate in 500 con il Marlboro Yamaha, altrettante per Colin Edwards (2005-2007 prima di passare a Yamaha-Tech 3) e un paio a Ben Spies (2011-2012).  Anche la Honda ha privilegiato la continuit&agrave; in MotoGP non cambiando mai entrambi i piloti nello spazio di due anni: Nicky Hayden rest&ograve; per sei stagioni e port&ograve; in dote il titolo 2006, vinto in rimonta su colui che nel 2003 era stato il suo primo compagno di squadra, prima di emigrare in Yamaha portandosi dietro Jeremy Burgess. Nella stagione in cui lo statunitense sconfisse Valentino gli era stato affiancato Dani Pedrosa (che abbatt&eacute; Nicky all&rsquo;Estoril, penultima prova della stagione), poi riconfermato fino a fine 2018 malgrado gli sia sempre sfuggito il bersaglio grosso. Una pecca considerata non da poco ai tempi, ma i colleghi che ne hanno raccolto l&rsquo;eredit&agrave;, prima Lorenzo, poi Alex Marquez, quindi Stefan Bradl e Pol Espargar&oacute;, hanno complessivamente ottenuto due podi. Bazzecole in confronto ai 31 GP vinti e ai 112 podi di Pedrosa che ha mancato l&rsquo;appuntamento con il gradino pi&ugrave; alto soltanto nell&rsquo;ultima di tredici annate con mamma Honda.  La Suzuki   Meno conservatrice &egrave; stata invece la Suzuki, in parte per le minori risorse economiche che le impediscono di attrarre e conservare i piloti migliori, in parte per i risultati decisamente inferiori. Eppure agli albori della MotoGP conferm&ograve; per un triennio l&rsquo;accoppiata composta da Kenny Roberts Jr e John Hopkins. Quest&rsquo;ultimo &egrave; rimasto per ulteriori due anni, in compagnia di Chris Vermeulen, riconfermato anche nel 2008, anno dell&rsquo;ingaggio di Loris Capirossi. Quando, nel 2015, &egrave; rientrata in pista dopo un triennio sabbatico, la Suzuki si &egrave; avvalsa di Aleix Espargar&oacute; e Vi&ntilde;ales ma nel 2017 quest&rsquo;ultimo ha preferito andarsene in Yamaha mentre l&rsquo;altro catalano &egrave; stato lasciato libero per prendere Andrea Iannone e Alex Rins. Anche questa doppia &egrave; scoppiata dopo due anni perch&eacute; all&rsquo;abruzzese &egrave; stato preferito Joan Mir. E, guarda caso, quando &egrave; tornata in cima al Mondo la Casa di Hamamatsu ha confermato entrambi, ribadendo il vecchio adagio: squadra che vince non si cambia.  MotoGP Stiria, classifica piloti: Quartararo allunga su Zarco 

Con l&rsquo;uscita di Vi&ntilde;ales a fine stagione, per la prima volta dopo l&rsquo;avvento di Rossi la Yamaha cambier&agrave; la coppia di ufficiali per due anni consecutivi. Una tendenza in stile-Suzuki

MotoGP: Yamaha, addio continuit&agrave;

        Al pari di James Toseland, Troy Corser &egrave; uno dei due piloti nella storia della Superbike ad aver vinto il titolo con due differenti Marche. Mentre l&rsquo;inglese trionf&ograve; con la Ducati nel 2004 e riusc&igrave; a ripetersi in Honda nel 2007, l&rsquo;australiano conquist&ograve; il primo alloro nel 1996 in sella a una rossa 916 e, nove anni pi&ugrave; tardi (un record nella distanza tra due titoli in SBK), centr&ograve; il bis con una Suzuki K5. Bicilindrico o quattro in linea? Ducati o GSX-R? Guardandosi indietro, Corser non appare per nulla indeciso, se chiamato a scegliere l&rsquo;impresa preferita: &ldquo;Ovviamente, il primo Mondiale vinto sar&agrave; sempre indimenticabile &ndash; svela il quarantanovenne di Wollongong &ndash; tuttavia ricordo con maggiore piacere il successo ottenuto la seconda volta. Il motivo &egrave; semplice: nel 1996, correndo con una Ducati, sapevo di avere la moto migliore della griglia e confermai quel pensiero affermandomi con una 916 gi&agrave; pronta al successo. Invece, pensando alla vittoria con la Suzuki, mi viene in mente che nessuno prima di me era riuscito a realizzare ci&ograve; che concretizzai io. Perci&ograve;, dico che vincere con la GSX-R 1000 &egrave; stato davvero speciale. Per me quel 2005 resta la soddisfazione pi&ugrave; grande di tutta la mia carriera, inoltre correvo per il miglior team della SBK. Dopo l&rsquo;esperienza vissuta in Petronas, la Suzuki mi diede l&rsquo;opportunit&agrave; di gareggiare per le posizioni importanti e io la sfruttai al meglio&rdquo;.  MotoGP, Capirossi: &ldquo;Nel 2007 faticavo con la Ducati, la Suzuki &egrave; pi&ugrave; facile&rdquo; "Correre per il Team Alstare era sempre stato un mio sogno"  Gli anni in Petronas avevano un po&rsquo; inficiato le tue quotazioni. &ldquo;Correndo con la Suzuki, &egrave; stato bello ritrovare la sensazione di poter essere competitivi. Avevo sempre sognato di correre per il Team Alstare Corona, una squadra presente in Superbike da tanti anni. Ho potuto beneficiare della loro esperienza professionale, con il supporto di Francis Batta e della moglie Patricia. Ammetto che desideravo entrare in Alstare gi&agrave; dai tempi in cui vinsi il titolo con la Ducati. Stiamo parlando, addirittura, del 1996&rdquo;. &Egrave; stato pi&ugrave; difficile realizzare la prima impresa oppure ripetersi? &ldquo;La 916 e la GSX-R erano moto piuttosto simili in termini di competitivit&agrave;, per&ograve; bisogna notare che nel 2005 il Team Alstare non era veramente ufficiale. Con la Ducati, invece, avevo uno status &ldquo;factory&rdquo; vero e proprio. Assieme alla Suzuki ho lavorato a stretto contatto con gli ingegneri nella squadra e con il supporto della Casa; abbiamo avuto l&rsquo;opportunit&agrave; di provare parti nuove per la nostra moto e svilupparle bene. Secondo me, la Suzuki GSX-R &egrave; stata la moto con cui ho creato la maggiore simbiosi. Potevo derapare, impennare, fare quello che volevo in gara, anzi, farlo come volevo. Soltanto in un paio di tracciati non mi sono ritrovato contento al 100%. Il pacchetto Suzuki &egrave; stato quello pi&ugrave; completo che io abbia avuto&rdquo;.  Si dice che tu utilizzassi poca elettronica, forse pochissima. &ldquo;Lo confermo al 100%. La mia GSX-R 1000 aveva a disposizione un grande pacchetto elettronico, per&ograve; Massimo Neri &ndash; il mio elettronico &ndash; aveva gi&agrave; lavorato con me e sapeva di quanta poca elettronica io avessi bisogno. Non abbiamo mai usato tutto il potenziale offerto, anzi, ne abbiamo sfruttato soltanto una piccola parte, il minimo indispensabile, principalmente per conservare le gomme in alcuni particolari tracciati. Mi piaceva avere il controllo totale dal mio polso destro perch&eacute;, da buon australiano, sono cresciuto nel Cross, nel Dirt Track e nel Flat Track. Proprio come hanno fatto Wayne Gardner, Mick Doohan, Garry Mc Coy e Casey Stoner. Per loro e per me, imparare a guidare in quel modo, cio&egrave; di polso, risult&ograve; naturale&rdquo;. La sfida con Vermeulen  Cosa ha significato per l&rsquo;azienda Suzuki vincere il titolo in SBK? &ldquo;Ha significato tantissimo: chi correva con la Ducati, andava &lsquo;sul sicuro&rsquo;, poich&eacute; c&rsquo;erano stati numerosi piloti campioni del Mondo. Con la Suzuki, invece, nessuno ci era mai riuscito. Farcela con la GSX-R mi ha lasciato una soddisfazione immensa. Una soddisfazione ancora pi&ugrave; importante per i Batta, al meritato trionfo dopo anni di gare. Il rapporto che abbiamo costruito per vincere &egrave; l&rsquo;emozione pi&ugrave; grande che io possa ricordare. Per me il Team Alstare era paragonabile a una grande famiglia. Dai meccanici agli ingegneri, sino ai piloti, andavamo d&rsquo;accordo e ci divertivamo. Con Yukio Kagayama il rapporto era perfetto, non avevo mai avuto una squadra cos&igrave; valida e corretta. Per noi il risultato complessivo era pi&ugrave; importante di quello individuale e questo caricava tutti allo stesso modo&rdquo;.  Nel 2005, grazie a otto vittorie, cinque secondi posti e cinque terzi, hai relegato il connazionale Chris Vermeulen, con la Honda, a pi&ugrave; miti consigli. &ldquo;Chris era veloce e forte ma, soprattutto, molto pi&ugrave; giovane di me. Aveva quasi 11 anni in meno, ed &egrave; stato uno degli avversari pi&ugrave; competitivi e talentuosi che io abbia sfidato e battuto; senza l&rsquo;infortunio che ne ha segnato la carriera, avrebbe potuto ottenere anche di pi&ugrave;. Vermeulen faceva parte di quel gruppo di australiani davvero forti venuti in Europa&rdquo;. Quando vedremo in SBK il prossimo Troy Corser? &ldquo;In Australia il campionato nazionale sta crescendo. Per tanti anni le corse erano con moto di serie, i piloti avevano poco supporto dalle Case. Adesso c&rsquo;&egrave; pi&ugrave; coinvolgimento, ci sono ragazzi interessanti con buone squadre e opportunit&agrave;. Non tanti piloti hanno pi&ugrave; di una o due stagioni per mettersi in luce, quindi ci vorr&agrave; pi&ugrave; tempo per vedere australiani al top. Non c&rsquo;&egrave; tempo oggi per costruire una carriera di 15 anni come la mia, forse tre o quattro stagioni rappresentano la chance attuale, poi arriva qualcun altro. Il denaro conta parecchio, nel passato era pi&ugrave; importante la velocit&agrave;&rdquo;. Tra Motomondiale e SBK, nell&rsquo;era moderna la Suzuki non ha raccolto tantissimo. Perch&eacute;? &ldquo;Onestamente non saprei dirlo. Forse le altre Case hanno messo pi&ugrave; supporto nel racing, inserendo quella voce come priorit&agrave; della sezione business. Al Team Alstare, il marchio Corona aveva offerto un buon budget: se prima, in SBK, la Suzuki non aveva uno sponsor del genere, con i finanziamenti di Corona abbiamo fatto promozione, sessioni di test, avevamo una bellissima hospitality, presentazioni di livello e lo sviluppo della moto. Tutto il resto &egrave; arrivato di conseguenza: e ovviamente parlo del titolo del 2005 (ride)&rdquo; Bayliss, Fogarty e la loro esperienza nel Motomondiale       

L&rsquo;australiano &egrave; stato il solo a portare la Suzuki sul trono della Superbike: "E questa 'unicit&agrave;' mi ha fatto gustare il titolo del 2005 pi&ugrave; di quello vinto nove anni prima con la Ducati. Con Batta avevo trovato il mio team ideale, e con la GSX-R in gara potevo fare quello che volevo, e proprio come volevo"

SBK, Troy Corser: "Vincere con la Suzuki è stato speciale"

        Sharing a homeland with the likes of Doohan, Corser, Bayliss, Stoner, Pitt, and Muggeridge, Australian rider Chris Vermeulen began his motorcycle career in WorldSBK, before moving to the MotoGP world championship and even winning a race, at a wet Le Mans in 2007 with Suzuki. Chris is now a great commentator for Fox Sports Australia and collaborates with the Phillip Island circuit after having interviewed the king, or rather fellow countryman Casey Stoner. Early days and Barry Sheene&rsquo;s advice  Born in Brisbane to Dutch parents on 19 June 1982, Chris started out riding MX and dirt track, winning championships in Queensland and New South Wales. In 1998 he made his move from dirt to track, competing in the Australian 250 championship and scoring his first wins. That same year, he also tested a Supersport 600. The test convinced him to race in the Australian Superbike championship, where he proved to the best privateer in 1999. Also in &lsquo;99, a certain Barry Sheene, who had moved to Australia a few years earlier, noticed him and advised him to move to Europe. Chris travelled to the UK where he competed in the Supersport and Superstock categories of the British Superbike series. Supersport and the 2003 world championship  Having moved to Europe for the 2000 season, Vermeulen made an impression in the British Supersport championship. The Castrol Honda team then asked him to stand in for Japanese rider Shinya Takeishi for the last rounds of the year. Chris scored 16 points in three races, with a best result of sixth at Assen. This was enough to convince Honda to hire him for the following season. 2001 proved quite problematic though, the rider closing 17th with 27 points. In 2002, he moved to the Van-Zon-TKR team, and rounded out the season seventh, having scored 90 points, a pole position and his first world championship podium. His best season came in 2003 when he moved to Ten Kate. He secured his first and only world title, with 201 points, four race wins and eight podiums. The call to Superbike  The Supersport champion deserved to move to Superbike and did just that with team Ten Kate in 2004. He made something of a slow start as he adapted to the class and bike, the new CBR1000RR. The first part of the season saw him score two podiums, in his native Australia. At Silverstone, he reached the podium in race 1 before winning race 2, and then won both races at Laguna Seca, a track he&rsquo;d never seen before. After a podium at Brands Hatch, Chris also won race 2 at Assen, and found himself in the mix for the title along with the two factory Ducatis of Laconi and Toseland. Imola proved to be the weekend of truth for Vermeulen and the Honda. During the race 1 sighting lap, he slipped on oil spilt by Bussei and suffered various fractures. Despite his injuries, he accomplished an incredible feat, starting the race from the pit lane and crossing the line second. He closed race 2 in sixth place. He finished the season fourth overall after a double DNF at Magny Cours. This experience meant he came back stronger in 2005, more than ready to fight. Unfortunately, there wasn&rsquo;t much he could do against the Suzuki GSX-R K5 of his fellow countryman Troy Corser. Vermeulen didn&rsquo;t give up and scored six wins and fourteen podiums in all, enough to secure the runner-up spot come the end of the year. MotoGP and the Le Mans feat  That particular result in Superbike led to a call from MotoGP, where Chris stood in for Troy Bayliss on the Camel Honda for the last races of 2005. He finished the season 21st overall with 10 points, having finished eleventh in both Australia and Turkey. He moved to Suzuki in 2006, alongside re-confirmed Hopkins. He achieved two poles, in Turkey and Laguna Seca, finished second in what was a crazy Australian race, and rounded out the season eleventh overall, with 98 points. He continued with Suzuki in 2007. The bikes now had 800 cc engines and the GSV-R was well balanced, also thanks to the Bridgestone tyres. He scored his one and only race win at Le Mans, in the rain, closing the season in sixth place overall with 179 points and a further three podiums. His 2008 didn&rsquo;t start in the best way, Vermeulen placing 17th in Qatar before scoring two top ten finishes followed by a DNF in China. From there, he was consistent, scoring two podiums in Germany and the US and finishing the year eighth with 128 points. The 2009 season saw him score points in every race, a fifth at Assen his best result. He finished what was to be his final MotoGP season in 12th place, with 106 points. The final years  In 2010 he returned to the SBK paddock with Kawasaki Racing and the ZX-10R. The season was characterised by a series of crashes, a knee injury and a subsequent operation that ruled him out of the last four rounds. He concluded 2010 in 20th place with just 10 points to his name. He did &lsquo;slightly&rsquo; better in 2011. The first part of the season was nothing to write home about, with zero points scored in four races. Chris then missed the US round to return for Misano and Aragon. He only scored points in the final two rounds, taking 14 points in four races to round out the season 21st overall. 2012 saw him return to MotoGP with team Forward, as a stand-in for injured Colin Edwards. Chris finished the Le Mans race in 17th place. Translated by Heather Watson SBK, Bayliss the fearless spirit: cut my finger off, I have to race!       

Following on from Troy Corser, another member of the &ldquo;Australian Collective&rdquo; takes centre stage in our &ldquo;Whatever happened to&hellip;&rdquo; feature. The successor to Pitt in World Supersport, he was the second Aussie to be crowned Supersport world champion

Whatever happened to: Chris Vermeulen

Un&rsquo;altra rivalit&agrave; che ha caratterizzato la prima met&agrave; degli anni 2000 del Mondiale Superbike &egrave; stata quella tra James Toseland e Regis Laconi, compagni di squadra nel team Fila Ducati ed avversari per il titolo fino all&rsquo;ultimo atto, Magny Cours con il giovane inglese che batte il compagno di squadra sulla sua pista.  L&rsquo;antefatto   Con la stagione 2003 letteralmente dominata dalle 999F03 di Neil Hodgson e Ruben Xaus contro la sola Suzuki di Gregorio Lavilla a cercare di dare filo da torcere alle due Rosse, per il 2004 Ducati punta sul giovane James Toseland e sul francese Regis Laconi per proseguire quanto fatto vedere dalla moto la stagione 2003. La stagione 2004 &egrave; caratterizzata dalla lotta tra i due compagni di squadra in Ducati per il titolo ma anche dal ritorno di Honda con una nuova moto, la Fireblade CBR1000R affidata al team Ten Kate e Chris Vermeulen.&nbsp;  Il film della stagione   &nbsp;  29 febbraio 2004. Parte da Valencia la nuova stagione della Superbike. Volti nuovi e facce storiche per la 17^ edizione del Mondiale delle derivate di serie. Ducati all&rsquo;assalto con un gruppo di piloti niente male: Toseland, Laconi, Haga, Haslam, Martin, Chili, McCoy, Nannelli. Pronti, via. Pole di Laconi ma il francese non raccoglie nemmeno un punto nelle due gare. Toseland ne fa subito 45 portandosi in testa alla classifica, Laconi clamorosamente fermo a zero.  Phillip Island, round 2. Ancora pole di Laconi che stavolta fa sua gara-1 davanti a Vermeulen e Toseland. In gara-2 fuori entrambe le Ducati ufficiali, vince McCoy davanti a Vermeulen e Walker. Toseland resta in testa alla classifica con 61 punti, Laconi fermo a 25 dopo 4 gare. Secondo &egrave; Chili con 56 punti, terzo il rookie Vermeulen con 55 punti, Haga quarto a 43.  Misano, terzo round. Laconi segna 45 punti (1&deg; e 2&deg;) contro i 16 di Toseland (10&deg; e 6&deg;) ma in testa al mondiale ci finisce incredibilmente Chili grazie al terzo posto di gara-1 e la vittoria di gara-2.  Si rimescolano le carte: Chili in testa con 97 punti, 77 Toseland, 75 Haga, 70 Laconi e Vermeulen.    Monza, round 4. Doppietta Ducati Fila con Laconi davanti a Toseland in entrambe le gare. Il francese passa a condurre il Mondiale grazie al doppio ritiro di Chili. Doppio ritiro anche per Haga, Vermeulen raccoglie solo un quarto posto in gara-1.  Oschersleben, 30 maggio, German round. Troy Corser porta in pole la Petronas. In gara-1 Haga centra il secondo successo stagionale dopo la gara-2 di Valencia davanti a Toseland e Chili. Laconi solo sesto. In gara-2 vince Laconi davanti a Toseland ed Haslam. Con il doppio secondo posto, James ritorna in testa alla classifica con 157 punti contro i 155 del francese, Chili 113, Haga 100, Vermeulen 95.  Silverstone, round 6 di una stagione piuttosto rocambolesca o, per dirla in milanese, dei &ldquo;ciapa no&rdquo;. Nessuno sembra voler prendere il largo in campionato. Gara-1 fuori entrambe le Rosse ufficiali di Toseland e Laconi. Haga e Vermeulen si spartiscono il bottino con 45 punti a testa. Il podio di Laconi ed il quinto posto di Toseland bastano al francese per tornare leader della classifica scalzando il compagno di box. 171 Laconi, 166 Toseland, 145 Haga, 140 Vermeulen, 129 Chili. Tutti e cinque ancora in lotta per il mondiale.  Laguna Seca. Sembra un paradosso ma il weekend americano parla s&igrave; inglese ma la variante australiana. Pole di Martin con la Ducati e doppietta di Vermeulen. Toseland fa 4&deg;/2&deg;, Laconi 5&deg;/3&deg;, Chili 2&deg;/5&deg;, Haga 6&deg;/4&deg;. Toseland torna leader della classifica con 199 punti, Laconi 198, Vermeulen 190, Haga 168, Chili 160.    Brands Hatch, European round. Haga centra una bella doppietta, le due Ducati factory fuori in gara-2 ma il secondo posto di Laconi serve al francese per tornare leader in campionato, Toseland chiude settimo gara-1, Vermeulen fa 4&deg;/3&deg; mentre Chili conclude solo gara-2 ritirandosi in gara-1.    Assen, terz&rsquo;ultimo appuntamento stagionale. Chili centra la Superpole, Toseland marca 45 punti contro i 27 di Laconi e torna ancora in testa alla classifica.  Situazione di classifica: Toseland 255, Vermeulen 252, Haga 247, Laconi 235, Chili 213. Chili sembra ormai fuori dai giochi, 42 punti da Toseland con 2 round ancora da disputare. Ma tutto pu&ograve; ancora succedere in Superbike in una stagione cos&igrave; rocambolesca.  Imola, penultimo round. L&rsquo;appuntamento all&rsquo;Enzo e Dino Ferrari parla francese. Laconi segna pole e doppietta, Toseland fa 3&deg;/2&deg; e scivola al terzo posto in classifica, Vermeulen 2&deg;/6&deg;, Haga e Chili fuori in gara-2. La gara di Imola viene ricordata per l&rsquo;impresa di Vermeulen che dopo la caduta con conseguenti fratture nel giro di ricognizione di gara-1 riesce a chiudere incredibilmente al secondo posto.  Duelli Sprint: la doppietta SBK di Laconi a Imola 2004  A Magny Cours, casa di Laconi, ultimo atto della stagione, si arriva quindi con tre piloti in lizza ancora per il titolo: Laconi, Toseland e Vermeulen. Laconi ha 285 punti, Vermeulen 282, Toseland 275.  Magny Cours, 3 ottobre 2004. Ultimo atto della stagione. La pole &egrave; ancora di Corser con la Petronas. Tripletta Ducati in gara-1 con Toseland, Haga, Laconi. Vermeulen fuori. Restano Toseland e Laconi a giocarsela in gara-2.  Gara-2. Ancora tripletta Ducati con Haga davanti a Toseland e Laconi. I 13 punti guadagnati da Toseland su Laconi tra le due gare portano l&rsquo;inglese alla conquista del titolo, primo della sua carriera, sulla pista di casa del compagno di squadra.  Laconi chiude secondo e sconfitto, Haga terzo in campionato, Vermeulen quarto e Chili quinto.   

Nella nuova puntata sui &ldquo;Grandi Duelli&rdquo; della Superbike, analizziamo la stagione 2004 conclusasi con il titolo di Toseland ai danni di Laconi a Magny Cours, la pista di casa del pilota francese

SBK: Laconi, Toseland ed il Mondiale 2004

Un altro figlio di quell&rsquo;Australia che tanti piloti ha donato al motociclismo finisce nella nostra rubrica del &ldquo;Che fine ha fatto&rdquo;, Karl Muggeridge, campione 2004 in Supersport, un passato non molto fortunato in Superbike ed un titolo in IDM Superbike.  Oggi si diverte tra le onde della sua Australia con la tavola da surf ma non ha abbandonato del tutto le moto. Lo si vede nei palazzetti del Supercross australiano o a fare qualche giro con gli amici con le moto da cross.&nbsp;     &nbsp;   &nbsp;  &nbsp;    &nbsp;     Visualizza questo post su Instagram   Un post condiviso da Karl Muggeridge (@karlmuggeridge)      Gli inizi: motocross e passaggio alla pista   Nato a Tweed Heads il 20 aprile 1974, inizia come tanti suoi colleghi nel Motocross. Disputa tutta la prima parte della sua carriera sullo sterrato con diversi campionati giovanili. Nel 1994 arriva lo switch giusto della sua carriera: passa alla velocit&agrave; in pista. Inizia con il campionato nazionale 250 e nel 95 si classifica al 4&deg; posto. Dopodich&egrave; passa alla Superbike australiana dal 96 al 98 con buoni risultati.&nbsp;  La Supersport   Debutta in Supersport nel 1998 con una Honda disputando le gare di Donington, Misano e Brands Hatch vedendo il traguardo solo a Misano raccogliendo 5 punti per una 40^ posizione finale.  Nel 99 le gare disputate da Karl sono 4, arrivando 4&deg; in Olanda e chiudendo la stagione al 23&deg; posto con 13 punti.  Per la stagione 2000 diventa titolare sulla Honda del team Ten Kate. 4 podi e la vittoria nella gara finale di Brands Hatch gli permettono di chiudere al quinto posto con 113 punti.  Nel 2001 passa alla Suzuki del team Alstare Corona. Le cose per&ograve; non vanno come Karl si aspetta. 3 soli podi e 4 ritiri gli fanno chiudere la stagione al settimo posto con 92 punti. A fine 2001 opta per il ritorno in Honda per il 2002 con il team Honda UK.  La stagione 2002 &egrave; alquanto problematica per Muggeridge: centra un solo podio, a Silverstone, e si classifica in 14^ posizione con appena 43 punti.  Nel 2003 torna al team Ten Kate al fianco del connazionale Chris Vermeulen. La stagione &egrave; molto positiva per il numero 31. 3 vittorie e 3 pole e la quarta posizione finale.  Con Vermeulen passato in Superbike nel 2004, i galloni di prima guida Ten Kate passano a Karl. E&rsquo; l&rsquo;anno della verit&agrave; per lui e Karl non si fa trovare impreparato. 7 vittorie, 8 podi e primo ed unico titolo in carriera con 207 punti.&nbsp;  Da Chambon a Locatelli, passando per Crutchlow: gli iridati della SSP600  La Superbike   Il titolo mondiale Supersport 2004 gli apre le porte della Superbike nel team Ten Kate Honda al fianco ancora di Chris Vermeulen nel 2005.  Purtroppo per lui l&rsquo;avventura in Superbike si riveler&agrave; deludente. Nei 5 anni passati in Superbike con Honda, zero podi, zero pole e zero vittorie classificandosi sempre dall&rsquo;11&deg; posto in gi&ugrave;.  Nel 2005 chiude 11&deg; con 124 punti e due quarti posti come miglior risultato in gara. Nel 2006 &egrave; 12&deg; con 123 punti (uno in meno rispetto all&rsquo;anno precedente) ed il quinto posto al Lausitzring come miglior risultato in gara, perdendo malamente il confronto interno con James Toseland.  La stagione 2007 &egrave; forse il punto pi&ugrave; basso di Muggeridge in Superbike. Passa al team Alto Evolution Honda ed in Ten Kate arriva Roberto Rolfo. Chiude la stagione al 16&deg; posto con 62 punti, giungendo 3 volte nono come miglior risultato in gara.  Nel 2008 &egrave; ancora in Honda con il team D.F. Racing. La stagione &egrave; leggermente migliore della precedente. Chiude infatti al 15&deg; posto con 77 punti e due sesti posti in gara come miglior risultato.  Per la stagione 2009 passa in Suzuki con il team Celani prima per poi finire la stagione con Alstare Brux. Nei primi 7 round con Celani va a punti solo in gara-1 ad Assen chiudendo 12&deg;. Dopo aver saltato tre gare, rientra in Germania con Alstare e va subito a punti in gara-1. Disputa anche i round di Imola e Magny Cours chiudendo la sua travagliata stagione al 22&deg; posto con 21 punti.  Sarebbe dovuto tornare a Silverstone nel 2011 per sostituire l&rsquo;infortunato Xaus sulla Honda Castrol ma un infortunio in allenamento gli pregiudica il ritorno. Torna invece nel round finale di Portimao sempre con la Honda Castrol senza peraltro ottenere punti.  L&rsquo;IDM Superbike   Chiusa a fine 2009 la sua carriera nel Mondiale, per il 2010 si trasferisce in Germania per disputare il campionato tedesco. Cambiare aria fa bene a Karl che al debutto nell&rsquo;IDM vince subito il titolo con una serie di buoni risultati, tra i quali le due vittorie con pole nel round di apertura. Nel 2011 invece chiude al terzo posto continuando in Germania anche l&rsquo;anno successivo.  L&#39;Australia e la Superbike: una lunga storia d&#39;amore 

Dopo Chris Vermeulen, un altro dei membri della &ldquo;Australian Connection&rdquo; per questa nuova puntata della nostra rubrica: il vincitore del Mondiale Supersport nel 2004, salito in Superbike nel 2005, ma senza fortuna

Che fine ha fatto: Karl Muggeridge

Figlio di quell&rsquo;Australia che tanti piloti e campioni ha regalato al motociclismo (Doohan, Corser, Bayliss, Stoner, Pitt, Muggeridge), Chris Vermeulen motociclisticamente &egrave; nato nel Mondiale Superbike per poi migrare nel Motomondiale, vincendo anche una gara, a Le Mans nel 2007 sotto l&rsquo;acqua con la Suzuki.  Oggi Chris &egrave; un bravissimo commentatore per Fox Sports Australia ed ha un canale aperto con il meraviglioso e mitico tracciato di Phillip Island per averne intervistato il re, ovvero il suo connazionale Casey Stoner.&nbsp;  Gli inizi ed i consigli di Barry Sheene   Nato a Brisbane da genitori olandesi il 19 giugno 1982, Chris muove i suoi primi passi prima nel cross e poi nel dirt track vincendo i campionati del Queensland e Nuovo Galles del Sud. Nel 1998 la svolta della sua carriera. Dagli sterrati alla pista, partecipa al Campionato australiano classe 250 ottenendo le sue prime vittorie e nello stesso anno prova anche una 600 Supersport. La prova della 600 lo convince a disputare il Campionato Australiano Superbike risultando, nel 99, il miglior pilota privato.  Sempre nel 99, un certo Barry Sheene, trasferitosi in Australia da qualche anno, lo nota e gli consiglia di trasferirsi in Europa e di conseguenza in Inghilterra per disputare il British Superbike nelle categorie Supersport e Superstock.&nbsp;  La Supersport ed il Mondiale 2003   Dopo essersi trasferito in Europa tra il 99 ed il 2000, Vermeulen disputa il Campionato Inglese Supersport e riesce a farsi notare. Il team Castrol Honda lo chiama per gli ultimi round del Mondiale Supersport al posto del giapponese Shinya Takeishi. 16 punti in tre gare con il 6&deg; posto ad Assen. Tanto basta per convincere Honda a confermarlo per la stagione successiva. Stagione abbastanza problematica quella del 2001 chiusa con 27 punti e la 17^ posizione. Nel 2002 passa al team Van-Zon-TKR. Settimo a fine stagione con 90 punti, una pole ed il primo podio iridato.  La stagione da incorniciare &egrave; la 2003 che coincide con il passaggio in Ten Kate. Centra il suo primo ed unico titolo mondiale con 201 punti, 4 vittorie ed 8 podi.  La chiamata in Superbike   L&rsquo;alloro iridato in Supersport gli vale la chiamata in Superbike per il 2004 sempre con il team Ten Kate. Inizia l&rsquo;anno un po&rsquo; in sordina per un fisiologico periodo di adattamento a classe e moto, la nuova CBR1000RR. Nella prima parte di stagione va due volte a podio nella sua Australia. Sale sul podio in gara-1 a Silverstone e vince gara-2, vince entrambe le manche di Laguna Seca da rookie assoluto sulla pista californiana. Dopo il podio a Brands Hatch, vince anche gara-2 ad Assen trovandosi in lizza per il Mondiale contro le due Ducati factory di Laconi e Toseland. Imola 2004 il weekend della verit&agrave; per misurare le ambizioni di Vermeulen e della Honda. Nel giro di ricognizione di gara-1 scivola sull&rsquo;olio perso da Bussei (che lo riporta al box) procurandosi diverse fratture. Da infortunato compie una impresa epica: dalla pit lane alla seconda posizione al traguardo. Gara-2 chiude al sesto posto. Finisce il campionato in quarta posizione dopo il doppio ritiro di Magny Cours.  L&rsquo;esperienza dell&rsquo;anno precedente gli permette di tornare pi&ugrave; forte nel 2005 ed essere subito in lotta per un grande obiettivo. Purtroppo contro la Suzuki GSX-R K5 del suo connazionale Troy Corser c&rsquo;&egrave; ben poco da fare. Vermeulen non demorde e porta a casa 6 successi corredati da 14 podi complessivi che gli valgono il titolo platonico di vice campione del mondo.  SBK e Honda Fireblade: da Vermeulen a Hayden  La MotoGP e l&rsquo;impresa di Le Mans   Il secondo posto finale nel Mondiale Superbike gli vale la chiamata in MotoGP per le ultime gare del 2005 al posto di Troy Bayliss sulla Honda Camel. Chiude 21&deg; con 10 punti, frutto di due P11 in Australia e Turchia  Nel 2006 passa alla Suzuki in coppia con il confermato Hopkins. Centra due pole, Turchia e Laguna Seca, chiude al secondo posto la pazza gara australiana e termina 11&deg; con 98 punti.  Nel 2007 &egrave; ancora pilota Suzuki. Le moto scendono a 800 cc di cilindrata e la GSV-R &egrave; ben bilanciata anche grazie alle gomme Bridgestone. Centra il successo, primo ed unico in carriera, a Le Mans sotto l&rsquo;acqua chiudendo la stagione al sesto posto il campionato con 179 punti ed altri 3 podi.  Il 2008 non inizia nel migliore dei modi: 17&deg; alla prima in Qatar ed out alla quarta in Cina, in mezzo due top 10. La stagione prosegue con regolarit&agrave; ma senza exploit, due podi in Germania e Laguna Seca per chiudere l&rsquo;anno all&rsquo;8&deg; posto con 128 punti.  Stagione 2009 che lo vede andare a punti in tutte le gare con un quinto posto ad Assen come miglior risultato in gara. Chiude 12&deg; con 106 punti la sua avventura nel Motomondiale.&nbsp;  Gli ultimi anni   Nel 2010 torna nel paddock Superbike con la Kawasaki ZX-10R del team Kawasaki Racing. Stagione molto travagliata a causa delle tante cadute e di un infortunio al ginocchio con conseguente operazione che lo tiene fuori per gli ultimi 4 round. Chiude il 2010 in 20^ posizione con il misero bottino di 10 punti.  Va &ldquo;leggermente&rdquo; meglio nel 2011. La prima parte &egrave; da dimenticare. Zero punti nei primi 4 round, salta il round di Miller per ripresentarsi a Misano ed Aragon. Va a punti solamente nei due round completati racimolando 14 punti in 4 gare. A fine stagione chiude 21&deg; con 14 punti  Nel 2012 torna in MotoGP chiamato dal team Forward a sostituire l&rsquo;infortunato Colin Edwards sulla Suter per la gara di Le Mans. Chiude 17&deg;  L&#39;Australia e la Superbike: una lunga storia d&#39;amore 

Dopo Troy Corser, un altro membro della &ldquo;Australian Connection&rdquo; protagonista della nostra rubrica &ldquo;Che fine hanno fatto&rdquo;. Erede di Pitt nel Mondiale Supersport, &egrave; il secondo aussie a laurearsi campione nella Middle Class della Superbike

Che fine ha fatto: Chris Vermeulen

        Australia and Superbike, a strong connection that was formed back in 1988, the very first year of the production-derived championship. This coming season though, the series will not start at the legendary Phillip Island track as is now customary, the event still in doubt due to problems relating to the Covid-19 pandemic. With the Australian round still uncertain, it&rsquo;s a good time to dust off the history of the relationship between the Land Down Under and the production-derived series. History  The very first Australian WorldSBK race took place on 25 September 1988 at Oran Park. The 1988 season was marked by various &lsquo;firsts&rsquo; for the Australians, with pole for Malcolm Campbell in Austria, the wildcards of a young Robert Phillis but particularly a certain Mick Doohan. Yes, the five-time 500 world champion competed in two Superbike rounds in 1988, winning three races in four, namely one in Japan and two on home turf in Australia, at the Oran Park circuit. From 1988 to 2019 the Australian GP has always been a classic on the calendar, whether held at the start or the end of the season. Only once, in 1993, did the series fail to travel to Oceania. The most recent event took place last year, with Razgatlioglu, Rea and Lowes sharing the wins at the season-opener, before the Covid-19 pandemic put things on hold until early August. Circuits  The championship has made use of two main Australian tracks, Oran Park and Phillip Island. Oran Park, now used for the Australian championship, is a very short track, not even 3km in length and inaugurated in 1962. It hosted the first two editions of the Australian GP. Doohan dominated the 1988 edition while Goddard and Dowson shared the spoils the following year. From 1990, the event changed location, going from the short Oran park to the longer Phillip Island with its spectacular ocean views. Originally hosting the final round, and then the second event of the season, from 2009 it became stage for the season-opener and the final pre-season tests. Aprilia and the lure of the WorldSBK (fans) Riders  Australia has brought many riders to WorldSBK, with mixed fortunes. It would be too easy to name only Troy Bayliss and Troy Corser, both multiple world champions. Over the years, there have been many riders from the Land Down Under. In 1988, for example, the well-known Robert Phillis and Mick Doohan, the winner of three races. 1989 saw the arrival of Peter Goddard, Steve Martin, Daryl Beattie (wild card in 89-90 before debuting in the world championship), Kevin Magee (a former world championship rider), Mat Mladin (star of AMA Superbike), Anthony Gobert (eight Superbike wins, five of which in Australia), to name the first &lsquo;batch&rsquo;. The second &lsquo;batch&rsquo; of Aussie riders starts with Broc Parkes, Andrew Pitt (two-time Supersport champion), Chris Vermeulen (2003 Supersport champion), Garry McCoy, Karl Muggeridge (2004 Supersport champion), Josh Brookes (current BSB runner-up), Mark Aitchison, Bryan Staring, Glen Allerton, Anthony West, Mike Jones and Josh Hook (now in the EWC). Highlights  When we think of Australia, we will always refer to one particular episode, or rather Fogarty&rsquo;s accident in 2000. On 25 April of that year, the second event of the season ran at Phillip Island. In race 2, Fogarty made a poor start and was forced to play catch-up. His impatience to gain ground on what was a damp track saw him collide with Austrian Robert Ulm. The result? A fractured right humerus (exactly like Marquez), surgery, and an expected 40-day recovery time. This marked the end of the four-time Superbike champion&rsquo;s season, and career in fact, King Carl announcing his retirement on 20 September of that year. The other episode dates back to 1988, the first WorldSBK season. The Australian track was Oran Park. A young Mick Doohan (the Brisbane native was just 23) grabbed all the attention when he scored pole position and two race wins. A day to remember because in race 1, Australia monopolised the podium with Doohan joined by Dowson and Phillis. Last but not least, how can we forget Anthony Gobert&rsquo;s win with Bimota in race 1 in 2000? Bimota returned to Superbike in 2000 with the SB8R, choosing to field Australian Gobert. It was an unforgettable moment as the bike, with its #501, sped around a wet Phillip Island track in front of a passionate crowd who watched on as their local hero triumphed for an important brand like Bimota, eleven years after Giancarlo Falappa at the Paul Ricard circuit. Translated by Heather Watson Laverty: &ldquo;WorldSBK is like MotoGP, many riders can win&rdquo;       

The history of the relationship between the land of the kangaroos and the production-derived series: tracks, riders and highlights from &ldquo;Down Under&rdquo;

Australia and Superbike, a long love story

L&rsquo;Australia e la Superbike, un legame fortissimo iniziato nel lontano 1988, anno della primissima edizione del Mondiale delle derivate di serie. Per la prima volta in questa stagione per&ograve;, le derivate non partiranno dall&rsquo;isola dei canguri e la tappa sul mitico tracciato di Phillip Island &egrave; ancora in forse, visti i problemi legati ancora alla pandemia da Covid-19.&nbsp;  Con la gara australiana ancora in forse, &egrave; il momento giusto per rispolverare la Storia del rapporto tra la Nazione &ldquo;downunder&rdquo; ed il Mondiale delle derivate di serie.&nbsp;  Storia   Il primissimo Gran Premio d&rsquo;Australia del Mondiale Superbike si disputa il 25 settembre 1988 ad Oran Park. La stagione 1988 &egrave; stata quella delle prime volte, anche dal continente Oceanico: la pole di Malcom Campbell in Austria, le wild card di un giovane Robert Phillis ma soprattutto un certo Mick Doohan. Ebbene s&igrave;, il 5 volte campione della 500 ha disputato 2 round in Superbike nel 1988 vincendo 3 gare su 4, una in Giappone e le due nella sua Australia, sul tracciato di Oran Park.  Dal 1988 fino al 2019 il Gran Premio d&rsquo;Australia &egrave; sempre stata una classica del Mondiale, sia all&rsquo;inizio che alla fine della stagione. Solo una volta, nel 1993, il Mondiale non &egrave; transitato dall&rsquo;Oceania.  L&rsquo;ultimo Gran Premio disputato in terra australiana risale allo scorso anno, con Razgatlioglu, Rea e Lowes a spartirsi le vittorie del round di apertura della stagione, poi fermata per Covid prima della ripresa ad inizio agosto.&nbsp;  Circuiti   Due sostanzialmente i tracciati australiani utilizzati dal Mondiale, Oran Park e Phillip Island. Oran Park, tutt&rsquo;ora utilizzata nel campionato australiano, &egrave; una pista molto breve di nemmeno 3 km inaugurata nel 1962 e che ha disputato le prime due edizioni del Gran Premio d&rsquo;Australia. Doohan ha dominato l&rsquo;edizione del 1988 mentre Goddard e Dowson si sono spartiti il bottino l&rsquo;anno seguente.  Dal 1990 il Gran Premio d&rsquo;Australia ha cambiato sede, dal breve tracciato di Oran Park a quello pi&ugrave; lungo e spettacolare di Phillip Island, con vista sull&rsquo;Oceano. Dapprima chiusura e poi secondo appuntamento stagionale, dal 2009 diventa round di apertura e sede dei test ufficiali della stagione.&nbsp;  Piloti   L&rsquo;Australia ha portato nel Mondiale Superbike tanti piloti, con alterne fortune. Troppo facile nominare solamente Troy Bayliss e Troy Corser, pluri campioni mondiali. Nel corso degli anni si sono visti tantissimi piloti provenire dalla Nazione &ldquo;downunder&rdquo;: nel 1988 per esempio si sono visti i pi&ugrave; conosciuti Robert Phillis e Mick Doohan, vincitore di tre gare. Dal 1989 in poi sono arrivati anche Peter Goddard, Steve Martin, Daryl Beattie (wild card 89-90 prima di approdare nel Motomondiale), Kevin Magee (ex Motomondiale), Mat Mladin (star dell&rsquo;AMA Superbike), Anthony Gobert (8 vittorie in Superbike, 5 solo in Australia), solo per ricordare la prima &ldquo;infornata&rdquo;  La seconda &ldquo;infornata&rdquo; di rider aussie comincia con Broc Parkes, Andrew Pitt (2 volte campione Supersport), Chris Vermeulen (titolo Supersport nel 2003), Garry McCoy, Karl Muggeridge (titolo Supersport nel 2004), Josh Brookes (oggi bi-campione BSB), Mark Aitchison, Bryan Staring, Glen Allerton, Anthony West, Mike Jones e Josh Hook (oggi nell&rsquo;EWC).  Episodi   Quando si pensa all&rsquo;Australia si fa sempre riferimento ad un episodio, ovvero l&rsquo;incidente di Fogarty nel 2000. Il 25 aprile di quell&rsquo;anno si corre il secondo appuntamento stagionale, a Phillip Island. In gara-2 Fogarty parte male e si trova costretto a rimontare. Nella foga della rimonta, complice anche la pista umida, centra in pieno l&rsquo;austriaco Robert Ulm. Risultato? Frattura dell&rsquo;omero destro (esattamente come Marquez), operato subito con prognosi di 40 giorni. Stagione e carriera finita per il 4 volte campione Superbike: il 20 settembre infatti King Carl annuncia il ritiro definitivo dalle gare.  L&rsquo;altro episodio risale al 1988, anno di esordio del Mondiale Superbike. Di conseguenza anche l&rsquo;Australia entra in calendario con la pista di Oran Park. Un giovane Mick Doohan (allora il fenomeno di Brisbane aveva gi&agrave; 23 anni) calamit&ograve; l&rsquo;attenzione su di s&eacute; dominando il weekend con pole position e due vittorie. Giornata da ricordare quella perch&eacute; in gara-1 l&rsquo;Australia monopolizz&ograve; il podio con Dowson e Phillis a far compagnia a Doohan.&nbsp;  Last but not least come dimenticare la vittoria di Anthony Gobert con la Bimota nel 2000 in gara-1? La Bimota ritorna in Superbike nel 2000 con la SB8R scegliendo l&rsquo;australiano Gobert per quella stagione. Indimenticabile quella moto con il numero 501 sul cupolino che sfreccia per le curve di una bagnata Phillip Island davanti ad un pubblico in delirio per il proprio pilota di casa che riporta al successo un marchio importante come Bimota 11 anni dopo Giancarlo Falappa al Paul Ricard.  SBK: da Albacete a Vallelunga, i circuiti &ldquo;dimenticati&rdquo; del Mondiale 

Storia del rapporto tra la terra dei canguri ed il Mondiale delle derivate di serie: circuiti, piloti ed episodi dal paese &ldquo;downunder&rdquo;

L&#39;Australia e la Superbike: una lunga storia d&#39;amore

  Andrea Locatelli ha scritto il suo nome tra i campioni della Supersport 600, vincendo il titolo mondiale con due round di anticipo. Una vittoria che fa discutere gli appassionati della categoria per il posto che il bergamasco ricopre nell&rsquo;Albo d&rsquo;Oro: c&#39;&egrave; chi dice che sia il primo italiano, chi invece il terzo dietro a Casoli e Pirovano.  Ma oltre al rookie del team Evan Bros, quali piloti ha incoronato la SSP600? Tra aneddoti e cenni storici, proviamo a ripercorrere velocemente l&rsquo;Albo d&rsquo;Oro della categoria, a partire dal 1997.&nbsp;  Storia   Le prime tracce di &ldquo;Supersport&rdquo; risalgono alla fine degli anni 70 con la TT Formula 2, una categoria intermedia tra Formula 1 e Formula 3 per motori a 4 tempi di media cilindrata (400-600 cc). La categoria &egrave; stata terreno di caccia dei piloti inglesi tra i quali Tony Rutter, il pap&agrave; del grande Michael, pluri vincitore al TT, con 4 titoli consecutivi tra l&rsquo;81 e l&rsquo;84 su una Ducati 600 TT2.  La TT2 cessa di esistere alla fine del 1986 e nel 1990, dopo 4 anni di vuoto totale, entra in scena il Campionato Europeo Supersport. Con il sempre pi&ugrave; crescente interesse verso le moto di media cilindrata, nel 1995 arriva anche il Thunderbike Trophy, un trofeo europeo riservato alle moto a 4 tempi di 600 cc di cilindrata organizzato da Dorna ed inserito nel contesto del Motomondiale. Il trofeo ha per&ograve; vita breve perch&eacute; a fine 96 viene chiuso a causa di un contenzioso tra FIM ed FMI per la questione delle derivate in un campionato prototipi.  Europeo Supersport  A fine 2015 viene decretata la morte della Stock 600 ed al suo posto nasce l&rsquo;Europeo Supersport nell&rsquo;ambito del Mondiale Supersport. Come dice la parola stessa, si disputa insieme agli appuntamenti europei del Mondiale Supersport ed una speciale classifica nel contesto della gara determina il vincitore. Bassani, Soomer, Hartog e Kyle Smith sono i vincitori delle 4 edizioni di questo campionato.  &nbsp;  Albo d&rsquo;Oro     Supersport World Series  Con la morte del Thunderbike Trophy alla fine del 1996, c&rsquo;era la necessit&agrave; di dare uno status da campionato del mondo per la Supersport. Nel 1997 nasce dunque la Supersport World Series. Le uniche due stagioni con questa denominazione, 97 e 98, vengono dominate da due talenti della scuola italiana del motociclismo: Paolo &ldquo;Gasolio&rdquo; Casoli e l&rsquo;indimenticato Re di Monza Fabrizio &ldquo;Piro&rdquo; Pirovano.  Supersport World Championship  Due anni dopo, nel 1999, arriva la trasformazione nel Mondiale Supersport che conosciamo cos&igrave; com&rsquo;&egrave; oggi. Ecco dunque i campioni dal 99 al 2019 per 20 anni di storia della Supersport  Stephane Chambon, 1999  Il primo campione del Mondo della Supersport &egrave; il francese della Suzuki, compagno di box del grande Pirovano. Il pilota Alstare chiude il campionato con 153 punti, frutto di 2 vittorie e 5 podi, 23 in pi&ugrave; dell&rsquo;inglese Iain MacPherson che ha portato a casa pi&ugrave; successi, 3, ma anche 4 ritiri contro l&rsquo;unico di Chambon.  Jorg Teuchert, 2000  Stagione pazzesca quella del 2000 con colpi di scena a ripetizione ed un finale da brivido. I primi 4 piloti con due vittorie a testa, in lizza per il titolo anche Kellner, compagno di box di Teuchert. Il titolo lo vince per soli 3 punti il tedesco Teuchert davanti a Casoli e Chambon.  Andrew Pitt, 2001&nbsp;  Finale controverso quello della stagione seguente. Andrew Pitt, senza vincere nemmeno una gara (come Alzamora nel 99 in 125) si porta a casa il primo dei due titoli mondiali grazie al ritiro di Casoli nell&rsquo;ultima gara del Mondiale, ad Imola. L&rsquo;australiano di casa Kawasaki batte il pilota Yamaha per soli 2 punti.&nbsp;  &nbsp;  &nbsp;  &nbsp;    Fabien Foret, 2002  L&rsquo;attuale coach di Jonathan Rea e osservatore dei piloti Kawasaki nel Mondiale, il francese Fabien Foret riporta il titolo in patria nel 2002 grazie a 4 vittorie e 186 punti complessivi battendo di 5 punti il giapponese Fujiwara, il tutto nonostante una squalifica patita al Lausitzring. Con Foret inizia l&rsquo;epopea di Ten Kate nella classe intermedia del Mondiale.  Chris Vermeulen, 2003&nbsp;  L&rsquo;anno seguente tocca a Chris Vermeulen riportare l&rsquo;Australia sul tetto della Supersport. 4 vittorie e 4 secondi posti gli valgono sia il titolo con 201 punti che la promozione in Superbike per l&rsquo;anno seguente, sempre con Ten Kate Honda. Vermeulen ha letteralmente dominato il campionato, senza mai perdere la testa della classifica.&nbsp;  Karl Muggeridge, 2004  Per la doppietta australiana in Supersport ci pensa Karl l&rsquo;anno successivo a Vermeulen. La corsa al titolo &egrave; un affare australiano tra Muggeridge e Parkes, compagni nel box Ten Kate, nonostante fino a Monza il leader fosse l&rsquo;olandese Van Den Goorbergh (un passato anche nel Motomondiale). Karl centra il mondiale con 7 vittorie e 207 punti contro i 135 di Brock, ma soprattutto, come per Vermeulen, arriva la promozione in Superbike.&nbsp;  Sebastien Charpentier, 2005 &amp; 2006  Il pilota francese di Ten Kate Honda centra la doppietta nel 2005 e 2006 rispettivamente con 210 e 194 punti, frutto delle 12 vittorie nelle due stagioni ed una leadership in campionato mai messa in discussione, se non nel 2006 quando ha perso la testa a favore di Kevin Curtain per tre gare, salvo poi riprendersela nella gara di casa vincendo gara e titolo per 7 punti sull&rsquo;australiano.&nbsp;  Kenan Sofuoglu, 2007&nbsp;  Turchia sul tetto del mondo nel 2007 grazie al Sultano Kenan Sofuoglu. Il pilota turco straccia letteralmente la concorrenza dominando il campionato dalla prima all&rsquo;ultima gara vincendo 8 delle 13 gare in programma e chiudendo a quota 276 punti, ben 143 in pi&ugrave; rispetto al primo rivale, l&rsquo;australiano Broc Parkes.&nbsp;  &nbsp;  &nbsp;  &nbsp;    Andrew Pitt, 2008&nbsp;  Secondo ed ultimo titolo in carriera per l&rsquo;austrialiano, oggi crew chief di Michael Van Der Mark in Yamaha. 214 i punti portati a casa dal pilota Ten Kate, frutto di 5 vittorie davanti ad un nordirlandese di belle speranze, un certo Jonathan Rea che non scender&agrave; in pista a Portimao perch&eacute; promosso in Superbike.&nbsp;  Cal Crutchlow, 2009  Sua Maest&agrave; potr&agrave; essere contenta. Dopo i piloti del Commonwealth, tocca finalmente ad un suddito della Regina Elisabetta salire al trono della Supersport. E&rsquo; Cal Crutchlow a prendersi il titolo Mondiale con 243 punti e 5 vittorie davanti all&rsquo;irlandese Eugene Laverty. Per Cal arriva poi la chiamata di Yamaha in Superbike.  Kenan Sofuoglu, 2010  Il Sultano torna sul trono della Supersport 3 anni dopo il suo primo titolo, sempre in sella alla Honda del team Ten Kate. Kenan della Supersport ne far&agrave; la sua casa vincendo altri tre titoli nel corso degli anni. Il titolo del 2010 lo vince con 11 punti di vantaggio sul compagno di marca Eugene Laverty con sole 3 vittorie contro le 8 dell&rsquo;irlandese ma i piazzamenti premiano il turco contro quell&rsquo;unico, fatale, ritiro di Eugene.&nbsp;  Chaz Davies, 2011&nbsp;  Altro suddito di Sua Maest&agrave; a prendersi il trono della Supersport &egrave; il gallese Chaz Davies, ex Motomondiale passato alle derivate di serie per via della stazza fisica. Chaz, in sella alla Yamaha del team italiano ParkinGO, centra il titolo con 206 punti, 50 di vantaggio sullo spagnolo David Salom, e 6 vittorie totali.&nbsp;  Kenan Sofuoglu, 2012&nbsp;  Il turco cala il tris l&rsquo;anno seguente rientrando dopo la parentesi non felice in Moto2. Per centrare il terzo alloro sceglie la Kawasaki del team italiano Lorenzini e vince subito al primo colpo con 21 punti di vantaggio a fine stagione su Jules Cluzel. I nomi del turco e del francese torneranno anni dopo per una accesa rivalit&agrave;. 4 vittorie a testa ma dalla parte del Sultano un ritiro ed una squalifica contro un doppio ritiro del francese.&nbsp;  &nbsp;  &nbsp;  &nbsp;    Sam Lowes, 2013&nbsp;  La stagione 2013 &egrave; vissuta tutta sul duello per il titolo tra Sam Lowes con la Yamaha e Kenan Sofuoglu con la Kawasaki del team MAHI India. L&rsquo;inglese domina tutta la stagione con 6 vittorie e 250 punti, 49 in pi&ugrave; del rivale. Il 2013 per&ograve; &egrave; sconvolto dalla morte, sul bagnato di Mosca, di Andrea Antonelli, investito da Lorenzo Zanetti.&nbsp;  Michael Van Der Mark, 2014  Ogni tanto una nazione diversa nel panorama della Supersport. Ci pensa l&rsquo;Olanda grazie al talento cristallino di Magic Mickey al secolo Michael Van Der Mark. L&rsquo;olandese &egrave; assoluto protagonista del campionato, ereditando la leadership dalla gara di Imola, chiusa alle spalle del compagno di box Zanetti, per non mollarla pi&ugrave; fino alla fine. 6 le vittorie totali del gioiellino olandese e 230 punti.&nbsp;  Kenan Sofuoglu 2015 &amp; 2016&nbsp;  Il Sultano ed il team Puccetti, un sodalizio destinato a cambiare per sempre la storia della Supersport. Kenan nel 2015 &amp; 2016 &egrave; all&rsquo;apice della sua carriera e cala la doppietta dominando entrambe le stagioni: nel 2015 chiude con 5 vittorie e 233 punti, nel 2016 invece 216 punti e 6 vittorie. Particolarmente significativa la vittoria nel 2016 perch&eacute; mai un pilota si era spinto a vincere cos&igrave; tanti titoli in Supersport.  Lucas Mahias, 2017  Il regno turco si interrompe per mano di un francese, Lucas Mahias e per un brutto infortunio subito dallo stesso Sofuoglu all&rsquo;inizio ed a fine stagione. Bravo il francese ad approfittare dei due infortuni e prendersi un titolo mondiale con 190 punti e due sole vittorie contro i 161 e 4 successi di Sofuoglu. Eroicamente Kenan rientra in Qatar e chiude al terzo posto nonostante alcune fratture non ancora perfettamente saldate.&nbsp;  Sandro Cortese, 2018&nbsp;  Dopo Mahias, un altro pilota Yamaha torna sul trono Mondiale. E&rsquo; il tedesco di origini italiane Sandro Cortese a vincere il primo ed unico titolo Supersport della carriera riportandolo in Germania 18 anni dopo Teuchert. Stagione da rookie di categoria del tedesco chiusa con 208 punti e due sole vittorie contro i 185 e 3 successi di Mahias ed i 183 con 5 successi per Cluzel. Proprio il francese vedr&agrave; sfuggire un altro titolo a causa di un ritiro.&nbsp;  Randy Krummenacher, 2019&nbsp;  Dalla Germania alla Svizzera il passo &egrave; breve. Tocca a Randy Krummenacher, tornato in Supersport dopo la parentesi in Superbike, centrare il titolo in un finale pazzesco contro il compagno di box in Evan Bros Caricasulo e ancora Jules Cluzel. La gara finale &egrave; vinta da Mahias davanti a Cluzel ma il quinto posto dietro a Caricasulo basta a Randy per prendersi il titolo con 213 punti contro i 207 di Federico ed i 200 di Jules.  Andrea Locatelli, 2020  Last but not least, il Loka da Selvino (BG). Stagione da rookie per l&#39;ex pilota della Moto2 tramutatasi in dominio assoluto fino alla Gara 1 di Barcellona, chiusa al quarto posto sotto l&#39;acqua. Pronto riscatto in Gara 2 e primo titolo Mondiale per il bergamasco, con uno score incredibile di 9 vittorie consecutive in una stagione particolare, con doppia gara per ogni appuntamento. Loka ed il team Evan Bros sono stati semplicemente fantastici, chiudendo con due round di anticipo sulla fine della stagione.  SSP600, Catalunya: le PAGELLE 

Il rookie del team Bardahl &egrave; stato l&#39;ultimo in ordine di tempo ad aver scritto il suo nome tra i grandi della Supersport. Ripercorriamo origine, storia e Albo d&rsquo;Oro della classe intermedia del Mondiale Superbike, tra grandi campioni e duelli all&rsquo;ultimo round

Da Chambon a Locatelli, passando per Crutchlow: gli iridati della SSP600

Phillip Island, unico round disputato anche dalla Supersport, ha confermato come la moto da battere sia ancora la Yamaha R6 del Team Evan Bros, formazione vincente nel 2019 con lo svizzero Randy Krummenacher e seconda, di stretta misura, con Federico Caricasulo, dopo un&rsquo;annata da sette successi e cinque doppiette in 12 gare.  In Australia, Andrea Locatelli &egrave; diventato capoclassifica del campionato allungando la sequenza favorevole per i fratelli Evangelisti, che hanno mantenuto e perfezionato la quattro cilindri in linea di Iwata.&nbsp; Il tutto, anche di fronte al debutto delle gomme lisce pensate per la 600: dopo tante stagioni disputate con soluzioni intagliate, la Pirelli ha portato le coperture slick, che richiedono un metodo di lavoro diverso e assetti da riscoprire.&nbsp;    Le stagioni spese in Moto3 e Moto2 hanno aiutato Locatelli, capace di dominare praticamente ogni sessione, dal venerd&igrave; sino al successo in gara. Pilota italiano con team italiano. Un bel duo che promette bene. Ci saranno avversari in grado di fermare la moto numero 55? Soltanto la pista dir&agrave; la verit&agrave; e, nell&rsquo;attesa di tornare alle corse, possiamo ipotizzare.  SSP: le PAGELLE di Phillip Island  Gli avversari di Locatelli   Krummenacher, per esempio, &egrave; un rivale degno di tal nome. Lo svizzero &egrave; forte, esperto, costante, e sa come vincere perch&eacute; ha gi&agrave; affrontato situazioni di alta classifica in fasi decisive, nelle quali ogni mossa deve essere opportuna. Passato alla MV Agusta, &ldquo;Krummenator&rdquo; ha portato il numero uno in dote. Tuttavia la caduta rimediata a Phillip Island &egrave; pesante: zero punti, delusione e morale da ricostruire. Il campionato dell&rsquo;unico svizzero iridato della categoria &egrave; partito male ma, appena si riaccenderanno i motori, di sicuro vedremo la tre cilindri varesina all&rsquo;attacco, con l&rsquo;obiettivo del riscatto.  Sulla stessa moto c&rsquo;&egrave; Raffaele De Rosa, eccellente secondo in Australia. Visto in azione con buoni risultati in 250, Moto2, Superstock e Superbike, il campano, se avr&agrave; tutto costantemente a posto, potr&agrave; essere sempre tra i migliori cinque. Anche per smentire chi pensa che gli manchi sempre quell&rsquo;ultimo guizzo decisivo.&nbsp;  Il tedesco Phillip &Ouml;ttl, prima punta del Team Kawasaki-Puccetti, ha iniziato come Krummenacher, volando nella stessa curva: &quot;Un vero peccato, ma avr&ograve; modo di rifarmi&quot; ha detto il tedesco, figlio d&rsquo;arte di Peter, a delusione smaltita. Per lui, la Supersport rappresenta un rilancio della carriera dopo l&rsquo;annus horribilis sulla non esaltante KTM di Tech 3 in Moto2, accanto a Marco Bezzecchi, e ogni occasione dovr&agrave; essere sfruttata.&nbsp;  Parlando di occasioni e carriera, Jules Cluzel ha &ldquo;fatto il callo&rdquo; a forza di perdere titoli per un soffio: in sei delle sette stagioni nella categoria &egrave; stato secondo o terzo, e pesa lo zero alla casella &ldquo;titoli&rdquo;. Il francese &egrave; forte, guida con uno stile spericolato, si &egrave; adattato al cambio usato con il piede destro.  Correre per la connazionale GMT94 rappresenta una marcia in pi&ugrave;, con una Yamaha spesso tra le pi&ugrave; performanti, portata a podio nel primo round dietro Locatelli e De Rosa. I due italiani che, al momento, sembrano i papabili di vittoria pi&ugrave; consistenti in una rosa comunque ricca di protagonisti.&nbsp;&nbsp;  C&rsquo;&egrave; poi il sudafricano Steven Odendaal, forte ma troppo irruento. L&rsquo;estone Hannes Soomer - gi&agrave; campione europeo - &egrave; un&rsquo;incognita. Lucas Mahias &egrave; un galletto in grado di compiere incredibili imprese ma anche di rovinare gare gi&agrave; vinte. Lo spagnolo Isaac Vi&ntilde;ales &egrave; la &ldquo;brutta copia&rdquo; del cugino Maverick, cio&egrave; offre pi&ugrave; ombre che luci.&nbsp;  Manuel Gonzalez, iberico vincitore della 300 nel 2019, ha bisogno di tempo per imparare i segreti della difficile classe di mezzo. Poi, ci sono le tante mine vaganti. Se Gonzalez &egrave; l&rsquo;iridato pi&ugrave; giovane nella storia della Velocit&agrave;, il sedicenne turco Can &Ouml;nc&uuml; &egrave; il pi&ugrave; giovane vincitore nella storia del Motomondiale e in SSP cerca il rilancio. E c&rsquo;&egrave; Corentin Perolari, dotato di grande aggressivit&agrave;.&nbsp;  Locatelli: &ldquo;La vittoria di Phillip Island? Il primo di 13 passi mondiali&rdquo;  Le imprese ineguagliate di Casoli e Pirovano     Eppure, resta negli occhi soprattutto quanto si &egrave; visto finora da Locatelli e De Rosa. Pi&ugrave; dal primo che dal secondo. Uno dei due azzurri sar&agrave; in grado di riportare nei nostri confini un titolo che manca da troppo tempo? L&rsquo;impresa datata 1997 di Paolo Casoli - al trionfo con la Ducati 748 quando la categoria si chiamava Supersport World Series - e il successo di Fabrizio Pirovano l&rsquo;anno dopo, ottenuto con la Suzuki GSX-R Alstare, rappresentano due bellissime pagine, storiche, ma purtroppo un po&rsquo; sbiadite. Non sciupate, perch&eacute; Paolo era fortissimo e il Piro indimenticabile e mitico, ma il motociclismo &egrave; cambiato, tanti nomi si sono avvicendati in vetta e spesso i trionfi nostrani vanno ricordati ai distratti.&nbsp;  Dal 1999 al 2019, ventuno stagioni di gare, i corridori italiani della 600 competitivi sono stati parecchi, tuttavia nessuno di loro &egrave; riuscito a ripetere le imprese di Casoli e Pirovano.&nbsp;    Piergiorgio Bontempi giunse terzo a fine millennio; causa ritiri e dipartite, lasci&ograve; il numero uno a Stephane Chambon, con lo scozzese MacPherson in mezzo. Il 2000 fu di Jorg Teuchert, tedesco su R6 giallo-rossa.&nbsp;  Da quel campionato e quello successivo, Casoli usc&igrave; sempre secondo, lasciando lo scettro 2001 all&rsquo;australiano Andrew Pitt (Kawasaki) a Imola, teatro di una polemica senza precedenti. Paolo risult&ograve; il migliore dei nostri anche nel 2002, stagione dominata da Fabien Foret, francese sulla Honda di Ten Kate. Il team olandese sarebbe stato assoluto protagonista fino al 2008, grazie a una CBR ben preparata (anche troppo, scoperta l&rsquo;irregolarit&agrave; tecnica celata sotto carena) in un filone di trofei alzati al cielo da Chris Vermeulen e Karl Muggeridge, australiani. Poi due volte da Sebastien Charpentier, transalpino. Quindi Kenan Sofuoglu, turco recordman di classe, ripetutosi poi con la Kawasaki. E ancora Pitt nel 2008, a chiudere il Settebello di Ten Kate.&nbsp;  I britannici Cal Crutchlow, Chaz Davies e Sam Lowes vinsero meritatamente, l&rsquo;olandese Michael Van der Mark aggiunse al titolo della Stock 600 quello Supersport, Mahias nel 2017 fece meglio di tutti, seguito da Cortese un anno dopo. Sandrino &egrave; tedesco e mezzo calabrese, ma il passaporto dice Germania. Nel mezzo, ha trionfato spesso Sofuoglu: cinque volte campione.&nbsp;  Fabio Evangelista: &ldquo;Dobbiamo salvare i team&rdquo;  Nel frattempo, che hanno fatto gli italiani? Bene, non benissimo: Alessio Corradi, Lorenzo Lanzi, Gianluca Nannelli, Michel Fabrizio, Massimo Roccoli, Gianluca Vizziello, Vittorio Iannuzzo, Luca Scassa, Alex Baldolini, il compianto Andrea Antonelli, Lorenzo Zanetti, Roberto Rolfo, Christian Gamarino, Michele Pirro e Ayrton Badovini si sono distinti per vittorie di tappa, podi e buone posizioni nella classifica finale, tuttavia mai la prima.&nbsp;  Perch&eacute; nomi cos&igrave; talentuosi non hanno centrato il premio ambito? Ognuno aveva le carte in regola per vincere il Mondiale, se parliamo di capacit&agrave; pure. Ma, se a qualcuno &egrave; mancato il mezzo giusto, ad altri un pizzico di esperienza. Nel caso di Scassa, per esempio, fu determinante la squalifica patita nel 2011, causata da un test in pista non concesso dal regolamento. Il pilota toscano salt&ograve; un weekend, a Misano quando era leader del campionato, perdendo slancio e concentrazione.&nbsp;&nbsp;  Zanetti e Rolfo hanno cambiato troppe selle e si sa quanto la continuit&agrave; tecnica sia importante. Ci stava riuscendo Caricasulo, l&rsquo;anno scorso. Il ravennate &egrave; stato in corsa per il titolo sino all&rsquo;appuntamento finale di Losail, nel quale ha ceduto le armi al compagno Krummenacher in un duello snervante. Federico ha perso, per&ograve; &egrave; stato il migliore italiano in Supersport delle ultime stagioni, Ha lasciato il posto a Locatelli: l&rsquo;attuale leader del Mondiale potr&agrave; riportare in patria un alloro che manca da un vita?  Motosprint On Air, Locatelli: &ldquo;Vincere ripaga sacrifici e lavoro&rdquo; 

L&rsquo;Italia non si aggiudica il titolo dal 1998, quando a trionfare fu l&rsquo;indimenticato Pirovano. Ma il presente, con Locatelli e De Rosa primo e secondo in Australia, suggerisce un possibile cambio di rotta

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